L’Asm affoga nei debiti, ma vendendo i gioielli di famiglia si fanno danni peggiori

asm sii terni
Il sindaco Leonardo Latini

Scuoteva la testa nervosamente il sindaco di Terni mentre era costretto a prendere atto che il numero legale in consiglio comunale non c’era e che il parere positivo sulla delibera di Asm che decide di vendere il 15% delle sue quote nel sistema di gestione dell’acqua non sarebbe stato espresso. La sua preoccupazione era ed è che qualcuno dei creditori esiga di essere pagato e Asm correrebbe il rischio di fare una brutta fine. I debiti sono ingenti ed i circa sei milioni che all’azienda servizi di cui è proprietario il Comune frutterebbe la cessione delle quote, rappresenterebbero il sollievo che in un’estate torrida può dare il farsi vento col cartone del calendario.

E si perché Asm, alla chiusura del bilancio 2018, presenta debiti per quasi 128 milioni (ce-nto-ven-totto-mi-lioni!). Per i pignoli, 127 milioni 771mila 160 euro.

Si sa le aziende, di ogni genere, nelle situazioni debitorie ci galleggiano, una quota di debiti ci ha da essere. Il fatto è però che l’Asm ha una grossa mole di debiti esigibili in ogni momento: se chi avanza soldi dovesse farsi avanti, l’Asm dovrebbe mettere mano al portafogli, ma potrebbe versare solo qualche santino o l’almanacco profumato del barbiere. Banconote nisba. Per esempio se il Gse, il Gestore Servizi Energetici si facesse avanti e chiedesse  i 33 milioni 360mila 364 euro che avanza per il rimborso della componente tariffaria A3, che succederebbe? (Per chiarire, la componente tariffaria A3 è quella quota della bolletta che va versata al fondo comune per incentivare la produzione di energia da fonti rinnovabili). Ecco: i sei milioni potrebbero essere utili a far fronte alla richiesta del pagamento delle fatture (già emesse) per servizi prestati dal Cns (Consorzio nazionale dei servizi) ai Comuni dell’Ati4, quello della provincia di Terni, ad occhio e croce. Si tratta principalmente di servizi legati a ciclo dei rifiuti. Sì, è una faccenda complicata per via di sigle, consorzi, associazioni temporanee, reti e via dicendo, ma che può essere semplificata saltando a pié pari il coacervo di incastri e ridurre tutto al fatto che qui ci stanno fatture sul tavolo che qualcuno deve prima o poi incassare ovviamente perché qualcuno (Asm, nel caso in questione) deve pagarle.

Certo che c’è da preoccuparsi, E c’è da preoccuparsi soprattutto su due fronti. Il primo: ma come ha fatto Asm a ridursi così “a stracci”? Qualche meccanismo non funziona probabilmente e va rivisto o adattato alle nuove esigenze dettate da una situazione di crisi generale. Guai a buttarla in polemica o srecare energie per rinfacciare colpe, tanto è tutto noto e non serve a risolvere il problema. Il secondo, che deriva dal primo: è una buona scelta quella di far fronte ad una situazione debitoria come quella esistente vendendo? Rinunciando cioè ai gioielli di famiglia (il servizio idrico sembra sia quello che fa apparire ogni tanto un barlume di sorriso sul volto del cassiere dell’Asm) o vendendo – come si vocifera – la centrale di Alviano (che producendo energia qualcosa rende). Si potrà tappare qualche buco, ma poi? In futuro che ci si venderà? La rete di distribuzione che è il capitale più ingente di Asm? O tutta l’Asm?

Per di più va considerato l’effetto di quelle vendite che è il rinunciare ad un pezzo di sovranità, a mettere in mani esclusivamente private beni inalienabili come l’acqua, nel non rispettare volontà espresse dalla cittadinanza.

La risposta ad interrogativi di tale portata non è semplice, certo. Ma quello è il compito di chi governa: cercare soluzioni anche a questioni “terribili” non perdendo mai di vista che in gioco c’è il futuro di intere generazioni. Una decisione non può essere presa con faciloneria e in quattro e quattr’otto.

w.p.