Terni e la “marcia del gambero”: da Bankitalia a Tele Galileo

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In un quadro generale di decadimento dell’informazione locale, la situazione umbra diventa tutta particolare. La notizia della sospensione delle trasmissioni dell’ultima televisione locale pone una questione ternana dell’informazione. Spegne le telecamere Tele Galileo: per quarant’anni ha raccontato Terni, ne è stata una grande piazza in cui hanno trovato voce tanti cittadini prima che ogni associazione e Istituzione. Sparita da tempo TeleUmbria Viva (che aveva raccolto il testimone di Telecittà); è durato pochi mesi il proposito di rilancio di Teleterni poi l’altra storica emittente ternana è stata fagocitata in una sorta di piccolo network perugino; ora tocca a Tele Galileo, nata come radio in una stanzetta di via Barbarasa, negli anni Settanta, a fianco alla redazione giornalistica di Paese Sera. Già, Paese Sera: sbarcato in Umbria in forze a contrastare le redazioni locali di altri “giornaloni”, dal Messaggero (che aprì a Terni la sua prima redazione decentrata circa 140 anni fa), a La Nazione, al Tempo. Un periodo fecondo quegli anni Settanta, anche per questioni collegate all’agone politico, quando si parlava del “sorpasso” tra Pci e Dc: non a caso operavano a Terni ed in Umbria anche le redazioni locali dell’Unità e del Popolo.

Altri tempi, altri meccanismi, altri mezzi – antidiluviani rispetto a quel che accadde dopo e nel giro di pochi anni – e poi altri canali informativi: le radio, quindi le tv locali. Redazioni come “scuole di formazione” di una truppa di giornalisti ternani ed umbri. E posti di lavoro. Il tutto incrementato quando scesero in campo il Corriere dell’Umbria e il Giornale dell’Umbria, suo concorrente almeno nella concezione editoriale, ma per certi versi “cugino”.

Si è assistito nel giro di alcuni anni all’avvizzire di tutta quella fioritura: chiusure, abbandoni, trasformazioni. Provocati per lo più da meccanismi non governabili né contrastabili a livello locale. Ciò che è rimasto è un campo brullo, con uno stuolo di sottoccupati e disoccupati, fatta eccezione per poche posizioni che rientrano nella normalità di un lavoro e di un servizio e che oggi sono considerate in alcuni casi privilegio.

Meccanismi informativi sono completamente “saltati” dappertutto nel mondo e in Italia. Ma in Umbria lo stato dell’informazione presenta aspetti che gli conferiscono una particolarità. Perché è ì’Umbria ad essere particolare. Due poli, uno a nord l’altro a sud. Tra di essi si è andata sempre più allargando, negli ultimi anni, la forbice delle competenze assegnate, delle “presenze”, delle opportunità, del peso specifico politico ed economico.

L’Umbria nata istituzionalmente come provincia di Perugia nella seconda metà dell’Ottocento, si è trasformata quasi un secolo fa, quando – con una specie di scissione biologica – nacquero dalle costole di Perugia  una seconda ed una terza provincia: quelle di Terni, rimasta nell’Umbria, e di Rieti distaccata nel Lazio.

Lo status di Provincia, per Terni, comportava una crescita notevole. Economica, certo, ma soprattutto istituzionale, decisionale, di programmazione e sviluppo. Significò la Banca d’Italia, la Prefettura, la Camera di Commercio; il Provveditorato agli studi; e tutta una serie di altre “derivazioni” statali. Significò anche una maggiore autonomia per le associazioni sindacali dei lavoratori e delle imprese. Un’ “agilità” che facevas salire il peso specifico in ambito decisionale più generale, una più concreta capaictà contrattuale.

Significò- in poche parole – potere ed essere nello stesso tempo costretti e spronati a secegliere e decidere, individuare e programmare il proprio futuro; affrontare problemi; avere in sostanza un’autonomia, seppur ovviamente nel rispetto degli ambiti istituzionali e normativi fissati dallo Stato.

Acquisire una diversa e più matura coscienza del proprio ruolo in un “movimento” virtuoso dell’economia e della società, ed alle prese con occasioni e possibilità di crescita, le quali richiedono – in cambio – impegno, serietà, qualità; studio, formazione, conoscenze; organizzazione dei servizi; costruzione di una società che punti al miglioramento della qualità della vita e crescita dei propri cittadini chiamati ad occupazioni sempre più qualificate, ad alto valore aggiunto si potrebbe dire.

A Terni della Banca d’Italia è rimasto un (brutto) palazzo chiuso; dov’è la Camera di Commercio? E i vari provveditorati? Dove sono le direzioni di associazioni e sindacati? La strada sembra quella che conduce ad un progressivo ritorno a quell’Umbria post-unitaria. Una strada indicata da nuove norme  statali nell’ambito delle quali sembra che l’aritmetica conti più degli equilibri sociali e lungo la quale ci si è avviati a livello locale in modo acritico fino al punto di dare un forte contributo ponendosi un timbro inchiostrato di rosso: il sistema elettorale regionale con un unico collegio che pone i candidati allo scranno regionale nella posizione di non essere espressione di istanze di area.

Si sono susseguiti atti e decisioni, scelte politiche, applicazione di riforme di settore decise in Parlamento. La risultante è che si è avviato un meccanismo i cui contraccolpi si abbattono su un’intera area geografica, sulla sua organizzazione, i servizi, l’economia, la società. Con riflessi negativi, per forza di cose, sul mondo dell’informazione locale che in quella società si permea e da quel contesto socio-economico è permeata fino ad assumerne il ruolo di “promotore” e soprattutto di custode della dignità. Che non si può lasciare venir meno.

w.p.