Terni, le Opposizioni: “C’è il rischio di un secondo dissesto”

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“Chi ha creato il dissesto economico a Terni e collezionato oltre 100 milioni di debiti che i ternani dovranno pagare per i prossimi 20 anni, oggi convoca conferenze stampa per attaccare l’attuale amministrazione che quei debiti li ha ereditati e per spiegare cosa dovremmo fare per risolvere una criticità che loro stessi hanno creato. I cittadini sanno bene che stiamo lavorando fin dal giorno dell’insediamento per consentire al Comune di Terni di uscire dal dissesto economico e sanno benissimo di chi sono le responsabilità di questo disastro. Ascolterò con curioso interesse”.  Il sindaco di Terni, Leonardo Latini si è espresso così in un messaggio social – ormai è la prassi – ancor prima che i rappresentanti dei gruppi di opposizione in consiglio comunale incontrassero i giornalisti per riferire di preoccupazioni per un secondo dissesto e dell’offerta di collaborazione con la maggioranza per affrontare una questione non da poco e per annunciare che chiederanno, sul tema, la convocazione straordinaria dell’assemblea.

Che il sindaco esprima fastidio e sfidi l’opposizione ancor prima che questa parli appare – va detto – abbastanza strano. Comunque ci sta che il sindaco butti le mani avanti e colpisca per primo annunciando di mettersi alla finestra per sentire che cosa abbiano da dire quelli della minoranza. Casomai avrà dovuto fare capoccella vicino allo stipite della porta di una delle stanze attigue al’aula consiliare di Palazzo Spada perché la conferenza stampa di M5S, Pd,Terni Immagina e Senso Civico è stata tenuta “a recchione”  datosi che non è stato concesso l’uso dei microfoni.

Comunque. A Terni ormai per cercare di capire quel che succede occorre prendersi un bel diploma da ragioniere contabile, conoscere insomma un po’ di tecnica bancaria, di scoperto di conti, di debiti e oneri riflessi. Ed occorre anche dotarsi di una buon a dose di coraggio per non cadere in depressione. Da anni si continua a parlare di debiti, di cifre da versare, di milioni di euro come fossero bruscolini. Il dibattito “politico” a Terni è ormai un tran tran ripetitivo: Quelli di Prima, Quelli di Mo’ cui si aggiungono da adesso Quelli di Domani. Faccende complicate? Forse: ma c’è un particolare chiarissimo: che i ternani sono chiamati a pagare una massa di debiti, e quando si dice ternani si dice le imprese tartassate, i cittadini tartassati, i servizi tagliati o forniti sparagninamente. Lo si è visto in questi ultimi giorni: la Tari è al massimo, le altre tariffe pure l’aliquota Irpef al massimo, i servizi al minimo anche e soprattutto quelli rivolti alle fasce sociali che dovrebbero essere maggiormente tutelate; i posti di lavoro che calano; le buste paga che diventano sempre di meno grazie al dilagare di un precariato selvaggio per cui c’è gente che si trova costretta ad arrotondare l’elemosina di qualche sussidio con lavori a quattro euro l’ora e la rinuncia forzata a qualsiasi lembo di dignità. In tutto questo, naturalmente, un gioco pesante è quello della situazione italiana e internazionale, ma alla capacità delle amministrazioni locali va ascritto il dovere di fare tutto il possibile per mitigare  un impatto asfissiante. E su questo fronte, per la verità, si assiste a “spettacoli” poco incoraggianti: dalle ruote panoramiche, agli schizzi d’acqua colorati con lampadine blu, rosse o viola.  

La giunta di “Quelli di Mo’”, ossia di quelli che avrebbero dovuto assicurare un percorso di uscita da una situazione gravissima così come promisero a suo tempo additando come incapaci e “banditi” Quelli di Prima sembra che alla fine della fiera non abbia ottenuto risultati incoraggianti. Intendiamoci: così  dicono le opposizioni tra cui vanno annoverati anche alcuni di coloro che a suo tempo si fecero coinvolgere tenendo bandone a qualche “urlatore” nelle manovre per trascinare nel dissesto il Comune,  credendo che quella fosse “la”soluzione.

Soluzione? A che? Qualcuno ricorderà che con un atto di buona volontà, di responsabilità, di accantonamento degli interessi elettoralistici si sarebbero potute trovare altre vie, meno dure del dissesto. Ma ci furono gli irremovibili, granitici ed alla fine – combattendo una battaglia in cui credevano senza rendersi conto della conseguenze – divennero strumento di chi cercava di soddisfare ambizioni e rivincite biasimevoli per il fatto  di metterle avanti all’interesse della comunità.

I debiti milionari che provocarono il dissesto hanno avuto una loro regimentazione, ma resta ancora parecchio da pagare. La conferenza stampa  delle opposizioni, però ha avuto per oggetto la diatriba su circa 12  milioni e più (ma ormai agli spicci chi ci guarda più?) per cui si è avviato il contenzioso davanti la Corte dei Conti. Quei dodici milioni rappresentano l’anticipazione di cassa da parte della banca (Unicredit) che gestisce (o gestiva) la tesoreria comunale. Per i non ragionieri: si tratta praticamente di uno scoperto di conto, di un fido bancario che però va coperto l’anno successivo. Qual è il problema? E’ che quell’anticipo riguardava l’anno 2017, ergo, dicono Quelli di Mo’  sono stati spesi da Quelli di Prima e vanno nel calderone del dissesto. Ciò significherebbe per Unicredit rimetterci una grossa percentuale (il 60% pare), cosa che non piace anche perché secondo le regole quei soldi sono un prestito –diciamo – pronta cassa.

Il Comune però insiste, la Corte dei Conti ha dato ragione a Unicredit? Si fa ricorso. Un ricorso, che dicono le opposizioni, stando a pronunciamenti passati per identiche situazioni, molto difficilmente verrà accolto. Così c’è il rischio concreto di dover pagare alla svelta. Ci sono i soldi? Boh. Secondo le opposizioni no. E allora il pericolo diventa quello di un dissesto ulteriore che si andrebbe a scaricare su Quelli di Domani, mentre sarebbero Quelli di Mo’ a diventare Quelli di Prima. Una confusione da matti. Di chiaro resta solo il fatto che a fare da incudine sarebbero sempre le famiglie e le imprese di Terni.

Ma c’è una consolazione per noi ternani: di avere un mezzo palazzo dello sporrt, uno stadio imbellettato, una clinica privata (perché mica siamo più tonti dei peruigini!), un ospedale declassato, una sanità – sanità!-  sempre più in crisi.