Fabio Fiorelli, un socialista scomodo ma concreto e moderno

Fabio Fiorelli

Sono passati più di trent’anni da quando, il 20 luglio 1988, un malore fu fatale a Fabio Fiorelli. Era a Preci, in Valnerina, per alcuni giorni di riposo. Seppure non avesse più alcun incarico elettivo non aveva certo abbandonato la politica. Non aveva certo smesso di pensare, né era il tipo di mettersi da parte, dopo aver vissuto tre quarti della vita impegnato nella politica. Un impegno che cominciò nel 1944: Fiorelli aveva 23 anni (era nato a Terni il 10 maggio 1921, quest’anno ricorre il centenario). Ne aveva 31 quando fu eletto consigliere provinciale di Terni. Dal consiglio alla presidenza della Provincia, quindi alla Regione dove, nel 1970, divenne presidente del primo consiglio regionale, quindi vicesindaco e assessore alla cultura a Terni.

Un socialista scomodo, per riprendere il titolo di un libro in cui, con la collaborazione di Franco Fogliano, Fabio Fiorelli ricostruisce la storia di Terni e dell’Umbria degli anni in cui ne fu protagonista. Così come lui la visse, dal di dentro e dal suo punto di vista.

Scomodo, sì. Perché mantenne sempre una posizione autonomista, dentro il Psi e fuori, nelle coalizioni di governo locale, giocando un ruolo di difesa-attacco nei confronti del partito comunista alleato nelle giunte umbre ma concorrente acerrimo del Psi; scomodo perché era solito dire pane al pane e vino al vino, senza fronzoli, anzi lasciandosi spesso scappare i cavalli. Rapporti difficili – in alcuni casi a livello interpersonale – scambi vivaci di idee, mai ipocrisie.

Si parla ovviamente di scontri politici. Troppe volte Fiorelli si trovò a sostenere posizioni ed idee che sembravano sovversive di un sistema che si era andato affermando col passare degli anni, sedimentandosi, in “usi e consuetudini” della gestione del potere che Fiorelli andava a scuotere nelle fondamenta.

Quando c’era da intervenire su questioni politiche profonde, su scelte fondamentali di governo regionale, sui rapporti tra i partiti della coalizione di governo – il Pci e il Psi- lasciava la poltrona di presidente del Consiglio e scendeva nell’emiciclo: ed erano discorsi franchi, fatti secondo il suo costume, senza peli sulla lingua. Nel 1975, tanto per dire, dette la stura ad un confronto aspro con un Pci che, impegnato nel perseguire la linea del “compromesso storico” sacrificava – a dire di Fiorelli – la rapidità di decisione all’attesa di trovare un punto d’incontro con l’opposizione democristiana. Una Dc che nel consiglio regionale era soprattutto forte nella componente fanfaniana la quale aveva bocciato la teoria del compromesso tra le due maggiori forse popolari. Fiorelli rivendicò fermamente il ruolo e la dignità del Partito Socialista specie nel periodo della costruzione del regionalismo nel momento in cui il Partito comunista umbro si accingeva a celebrare il proprio congresso e in prossimità delle elezioni regionali.

Agone politico, ma anche pragmatismo di governo. D’altra parte intuizione e concretezza  furono alla base di scelte che avevano in sé il “germe” della modernità, della visione ampia del ruolo delle istituzioni pubbliche. Nei campi più diversi: dalla sanità, con la realizzazione a livello provinciale, di strutture che giocavano un ruolo importante nella gestione e nella fornitura di servizi sanitari ai cittadini; nella cultura e turismo, quando decise per l’acquisizione al patrimonio pubblico di Villalago di Piediluco con l’intenzione di farne un centro che legava insieme iniziative culturali, ricettività, ambiente: fu Fiorelli da vicesindaco di Terni ed assessore alla cultura ad avviare il processo verso il multimediale, a dare una scossa al torpore ed alla “normalizzazione”  promuovendo un confronto aperto tra le varie e a volte contrapposte “anime” cittadine sullo sviluppo e la promozione della cultura a Terni: suggerimenti, idee, esigenze, proposte per avviare un’azione che nasceva dal basso, che coinvolgeva tutta la città. Iniziativa non più ripetuta da quasi quarant’anni . Posizioni che erano all’avanguardia, che hanno lasciato il segno nell’Umbria di allora ed anche in quella di oggi. Non a caso la battaglia politica da lui avviata nell’ultimo periodo è tutt’oggi viva e presente nel confronto politico cittadino. L’apertura dell’Umbria verso il Lazio, verso Roma. Un’idea che metteva in discussione la linea politica seguita fino ad allora, di un’Umbria rinchiusa su sé stessa e concentrata verso il capoluogo, verso Perugia che Fiorelli definiva “la città dei lucumoni”, i re-sacerdoti etruschi che tutto decidevano nell’ombra e piegavano alle loro volontà.

Una espressione che Fiorelli coniò nel bel mezzo di un’altra delle sue battaglie, su una vicenda che travalicava l’ambito politico amministrativo, consumatasi alla metà degli anni ’80 quando – rimasto quasi solo contro tutti – si oppose alla realizzazione di un cementificio ad Acquasparta, biglietto da visita non invidiabile per chi arrivata in Umbria, allora forte dello slogan “Cuore verde d’Italia”. Ma non solo per questo. Fu la prima battaglia ambientalista, certo, ma anche contro commistioni che anticipavano, in una qualche maniera, pratiche politiche che negli anni successivi furono destabilizzanti per l’intero sistema politico italiano.

Costò cara quella battaglia a Fiorelli: il suo partito decise che non fosse più lui ad avere la delega di vicesindaco di Terni; fu costretto a dimettersi da presidente di un consorzio sovracomunale  di garanzia sui beni urbanistici, ambientali e culturali; non fu candidato alle elezioni comunali dell’85 cui si presentò nella lista del partito socialdemocratico senza riuscire, seppur per poco, ad essere rieletto. Se ne rendeva conto Fiorelli, eppure andò avanti con coerenza fino all’ultimo, a combattere lancia in resta contro tutti e contro quello che era considerato uno scempio: “Lo so – spiegò ad un amico – sono rimasto quasi da solo, ma vado avanti. Continuo a battermi, perché sono convinto che quella è la decisione sbagliata”. Non era il tipo da abbandonare a terra le armi. Per la cronaca: il cementificio, ad Acquasparta, non è mai stato realizzato. Anche perché alla fine ci fu chi dimostrò di pensarla come Fiorelli.

w.p.