Fabbrica d’armi: dipendenti esasperati protestano in Prefettura

Fabbrica d'armi
Fabbrica d'armi pmal

Sarà anche stata insignita della cittadinanza onoraria di Terni la Fabbrica d’Armi, ma occorre anche un impegno che vada oltre le manifestazione di rispetto e di affetto. Oggi la Fabbrica d’Armi si chiama Pmal, un acronimo impronunciabile che significa Polo di Mantenimento delle Armi Leggere. I dipendenti civili dello Pmal di Terni sono in stato di agitazione (così come tutti i dipendenti dei ministeri, d’altra parte) e per la mattina di giovedì 30 maggio hanno indetto un’assemblea unitaria in viale della Stazione a Terni, davanti al Palazzo che ospita la Prefettura “in concomitanza con le altre manifestazioni indette dagli enti del ministero della Difesa su tutto il territorio nazionale, per testimoniare pubblicamente il nostro fermo dissenso nei confronti dell’inerzia istituzionale fin qui palesata dalla ministra Trenta nei confronti del personale civile”.<br /> “A circa un anno dall’insediamento del governo e a pochi mesi dalla storica visita ufficiale della ministra della Difesa, Elisabetta Trenta, presso il Pmal, non una delle criticità evidenziate dalle Rsu e organizzazioni sindacali è stata ancora risolta”.
Criticità considerevoli se si pensa che i dipendenti civili sono sempre di meno. La pianta organica ne prevede 384, ma ad oggi sono 280 posti, il che significa che 104 posti vacanti. Nei prossimi tre anni, per effetto dei pensionamenti, il numero si ridurrà ulteriormente, tanto che si calcola che il Pmal avrà nel 2022 solo 182 dipendenti civili.
Questo se nel frattempo non accadrà qualcosa, se non si prendrà un qualche provvedimento, se si deciderà insomma di non lasciare che si consumi come un cerino la fabbrica che – prima delle acciaierie – è stato il punto fermo dell’industrializzazione ternana. “È giunto il momento di dire basta alle promesse non mantenute e alle solite vuote dichiarazioni di disponibilità della ministra Trenta, a cui mai fanno seguito soluzioni concrete – affermano i sindacati – É tempo che il ministro della Difesa assuma per intero le responsabilità che derivano dal suo ruolo istituzionale di fronte ai propri 27.000 dipendenti e alle loro famiglie e realizzi senza ulteriore ritardo gli impegni che ha assunto nei loro confronti”.
“Tra le criticità quella che più di altre continua ad essere giustamente vissuta dalle lavoratrici e dai lavoratori civili della Difesa come una vera e propria discriminazione salariale, in ragione del noto gap economico esistente tra la loro retribuzione accessoria– aggiungono le Rsu – e quella percepita dai colleghi di pari ruolo e qualifica degli altri ministeri e amministrazioni, o anche quella attribuita alla nutrita componente militare che opera ormai regolarmente nell’area amministrativa con i dipendenti civili”.