Economia: quel che manca è un “Modello Nerano”

ECONOMIA

di SERGIO FILIPPI

In attesa di Marcegaglia, fioccano le congetture sulle reali intenzioni della Holding ThyssenKrupp. Vuole vendere tutto, vuole solo un partner, lo vuole industriale, lo vuole finanziario, vuole tenersi la rete commerciale?

Guardando però dalla Conca un po’ più in là, includendo Rieti e Viterbo, la vera questione di fondo è che, dopo oltre trent’anni, ci ritroviamo punto a capo rispetto alla realizzazione di un ambiente non solo sociale ed economico, ma per infrastrutture e per coesione della sua classe dirigente, capace di attrarre, difendere e sviluppare un suo modello di sviluppo condiviso e sostenibile che in qualche modo lo possa identificare senza alcun dubbio.

Un ambiente in qualche modo speciale che, pur immerso nei grandi processi, possa impedire che la sua comunità sia oggetto di scorrerie occasionali e quindi di impoverimento.

Eppure il mix secolare fra industria a vocazione internazionale/intervento pubblico/omogeneità sociale farebbe di Terni un modello economico e sociale particolare rispetto ad altri più figli della cultura contadina e della iniziativa privata.

Manca però, è sempre mancata, a Terni, la specificità di una classe dirigente che la rappresentasse e fosse sostenuta da una opinione pubblica vigile e pronta ad elaborare ed orientare. Il perché non interessa qui. Forse le crisi che abbiamo vissuto non sono state tutto sommato così pesanti da spingere alla coesione e a costruire prassi e relazioni stabili.

Il modello Renano, quello che prende il nome dal fiume Reno, quello in cui è immersa la ThyssenKrupp (o la Volkswagen), quello della Co-gestioneè giusto una intera comunità che istituzionalizza la dialettica sociale, che condivide obiettivi, che valorizza e partecipa alla iniziativa degli imprenditori privati e che esalta l’azionariato dei lavoratori. Che non rinuncia alla negoziazione anche violenta fra interessi ma che ha saputo spesso tracciare e condividere il progetto di un nuovo modello di sviluppo nella massima concretezza delle azioni che aspettano ad ogni componente.

Possibile che a Terni dopo trent’anni dalla scomparsa delle Partecipazioni Statali e dopo che la cultura di impresa non è più ideologicamente bandita dai valori riconosciuti, dopo che abbiamo imprese multinazionali in espansione nella Conca (e fuori) e imprese ternane di grande eccellenza in espansione in mercati internazionali; possibile che non riusciamo a costruire, il omaggio alla nostra Nera, il modello Nerano? Possibile che l’economia circolare e l’economia civile non possano trovare proprio a Terni più concretezza che altrove nel binomio Industria/Innovazione?

Possibile che i tanti imprenditori ternani, i tanti sindacalisti, i dirigenti d’azienda, i professionisti che non parlano solo ternano e che si sono formati in questi ultimi trent’anni fuori dai vecchi circuiti degli anni 70 e 80; possibile che non trovino conveniente legare in un tessuto omogeneo i fili delle relazioni di un’area più vasta di quella ternana? Di farlo per disegnare una programma d’azione che individui nel triangolo Terni/Rieti/Viterbo l’autonomo percorso di sviluppo con il relativo sbocco nel porto di Civitavecchia?

In verità l’Umbria sta ormai stretta a tutti.

Anche a chi trova possibilità di sviluppo nell’asse che porterebbe fino ad Ancona la sua vocazione industriale e di terziario. Così come a noi ternani, insieme ai reatini e ai viterbesi, sta stretta se non vogliamo ridurci a quartiere periferico di Roma.