Oltretutto, appariva quantomeno disdicevole, trattandosi di una società che riceveva una certa “spinta” da parte del Governo italiano che a giovarsene fossero capitali stranieri.
Ed allora si ritenne necessario compiere un passo in più, da parte della Saffat, rispetto a quanto riferito dal Don Chisciotte. Il 16 settembre 1888, il giorno dopo, sul Bollettino delle Finanze e delle Ferrovie fu pubblicata la prova che le acciaierie ternane erano un’impresa nazionale: l’elenco degli azionisti, gli stessi che erano stati presenti o erano rappresentati nella riunione del consiglio di amministrazione che s’era tenuto il 16 giugno 1888, tre mesi prima.
Questo l’elenco.
Rosina Breda, azioni 30; marchesa Tresa da Bassano, 10; Vincenzo Breda, 1600; barone Luigi Bertolini, 200; Ludovico Maglietta, ingegnere, 160; duca Gaetano De Ferrari, 30; Alberto Rignano, 45; ingegnere Cassian Bon, belga, 100; Alessandro Casalini, 200; Antonio Canella, 50; ingegnere Cesare Fera, 50; marchese Manfredo Dapassano, 40; Federico Friggeri, 20; Eugenio Forti, 100; Angelo Levi, 200; Levi e figli, 1150; Banca Veneta, 150; Banca Generale su Roma, 250; Alessandro Levi, 100; Cesare Levi, 100; Giacomo Levi, 50; Tito Pinchetti, 300; Domenico Speer, 400; Eugenio Enrico Schneider, francese, 1500; Società generale Credito Mobiliare Italiano, 1175; Samuele Scandiani, 50; ingegner Carlo Sarefini, 75; Marco Bepo, 40; Albino Geucet de Mar, 50; Bortolo Clementi, 120; Antonio Corradini, 25; Vitaliano Lorenzoni, 30; Carlo Baseggio, 20; Giuseppe Dellavedova, 30; Matteo Debenedetti, 400; Carlo Miluta 225; Salvatore Rossena, 10; Andrea Sacchetta, 304; Alberto Treves, 1190.
La Saffat dichiarava che il complesso delle azioni riferite era di 22.748 su un totale di trentamila.