Sant’Alò, chiesa romanica “vandalizzata” per secoli

Sant'Alò

Il danno creato da alcuni giovinastri ai primi di aprile 2017 alla chiesa di Sant’Alò, seppur contenuto, va ad aggiungersi ad una serie di “attentati” compiuti contro quella che è considerata la più importante testimonianza dell’arte Romanica a Terni.

Basti pensare che fino alla metà del secolo scorso era utilizzata come magazzino e deposito da un rivenditore di carbone, il quale, forse per rendere l’ambiente più consono, decise di fare all’interno un nuovo intonaco. Per far sì che il nuovo strato di calce attecchisse furono scalpellati in numerosi punti gli affreschi che adornavano il luogo di culto ormai abbandonato e che, secondo il proprietario considerò probabilmente davvero disdicevoli per un magazzino “moderno”. Il resto della chiesa rimase in stato di abbandono, tanto che l’abside crollò nell’indifferenza generale. Solo nel 1960 la curia rientrò in possesso di Sant’Alò e la riconsacrò.

La chiesa di Sant’Alò

Già in precedenza, comunque, la chiesa era stata tartassata. In origine il portale d’ingresso si trovava su quella che oggi è la parete di sinistra. Alla fine del XIII secolo i padri agostiniani che l’avevano costruita decisero di affiancarle un convento. Per farlo utilizzarono un “progetto” più che disinvolto. Il convento fu costruito proprio addosso alla chiesa (è la casa attualmente esistente) e il portale d’ingresso, chiuso l’originale, fu in pratica spostato sul fianco. In ogni modo ci si preoccupò almeno di far diventare quella facciata adatta alla sacralità del luogo. Il muro fu quindi quasi del tutto ricostruito utilizzando  numerosi frammenti di epoca romana che provenivano probabilmente da monumenti funerari, così come è accaduto – e questo è stato accertato dagli storici – per i due leoni di pietra che stanno agli angoli della porta d’ingresso. Entrambi sono danneggiati da secoli e non sono stati sfregiati – come qualcuno ha creduto – nel corso del recente raid vandalico, che alla fin fine ha provocato il danneggiamento di un vaso di marmo, anch’esso probabilmente proveniente da un monumento funerario. Con l’occasione, anzi, ci si è accorti che un vaso gemello è scomparso. Se non è stato spostato all’interno della chiesa potrebbe aver preso il volo e visto il peso (qualche decina di chili) forse non sarebbe opera di giovinastri “sbevazzati”.

La chiesa, forse costruita sui resti di un tempi romano ddicatao alla dea Cibele,

fu intitolata a Sant’Aloysius diventato poi nell’uso popolare un più sbrigativo Sant’Alò. Sant’Aolysius è un santo francese (in italiano è diventato Eligio) che era protettore degli orafi (e Terni vantava già nel 1400 una propria tradizione orafa) e più in generale di coloro che trattano i metalli col fuoco: i fabbri e i maniscalchi.

Sant’Alò, appartenne ai frati Agostiniani, quindi alle suore francescane e  sembra anche ai cavalieri di Malta e fu commenda comunque di  cavalieri Gerolosimitani, vale a dire del regno di Gerusalemme di cui facevano parte sia i Templari che gli Ospitalieri.

SANT’ALO’: IL VASO SCOMPARSO

 

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