La Terni ammette: “Sì, lo smog di Papigno è fastidioso”

Leonardo Siliato, presidente della società Terni, la cosa volle prenderla di petto personalmente: “Ho voluto esaminare il problema cosiddetto delle polveri di Papigno”, dichiarò. “La conclusione delle indagini è che non c’è danno per le persone”. Quindi, aggiunse, si tratta “di un puro e semplice fastidio”. Agli abitanti di Papigno che protestavano, a sentire la dichiarazione ufficiale del presidente della Terni, la mandibola crollò e rimasero con la bocca spalancata, gli occhi sbarrati, l’espressione di un pugile suonato. Un fastidio, ecco cos’era tutta quella polvere nera che andava ad incrostare i muretti lungo la strada, i tetti, le poche panchine. Tutto nero, come ancor oggi cinquant’anni dopo (le dichiarazioni di Siliato risalgono al 1966) si può costatare.

Papigno
Papigno

Quelle polveri che hanno formato una crosta che ha resistito per decenni alle intemperie, anche dopo che lo stabilimento della calciocianamide e del carburo è stato chiuso. Che andavano protestando gli “impolverati” di Papigno? Avessero un po’ di pazienza! Alla fine anche loro avevano avuto il loro tornaconto: forse che non avevano preso per anni lo stipendio in quello stabilimento? In quegli anni in Parlamento si discuteva la cosiddetta “legge antismog”. Finalmente ci si era posti la questione dell’inquinamento delle fabbriche, dei danni per la salute. E che danni! A Papigno non riuscivano certo a rassegnarsi, anche se le loro battaglie duravano da decenni e per decenni erano state tutte perse. Sì, qualcuno aveva avuto quattro soldi di risarcimento perché i pomodori e l’insalata nell’orto non crescevano più. Sì, la coltura delle pesche di Papigno, frutto che fa parte dell’immaginario collettivo e che ora si tenta di riavviare, era andata a farsi friggere. Sì’ – infine – quell’area aspra, selvaggia, quella selva verdeggiante decantata da tanti viaggiatori del ‘700 era sparita. Ma per la salute non c’era danno, assicurava il presidente della Terni. Un fastidio. Solo un fastidio, ma certi numeri, letti con gli occhi di oggi, terrorizzano. Nel 1908 il “movimento degli impolverati di Papigno” era già in battaglia. Si chiese l’intervento dei periti, i quali stabilirono quanto segue: le polveri che uscivano dalle ciminiere di Papigno erano vulneranti e tossiche; erano composte di particelle di carbone, residui di carbonio di calcio e calciocianamide, gas irritanti e velenosi come l’ossido di carbonio, l’anidride carbonica, l’acetilene. La polvere che si depositava nelle aree vicine allo stabilimento risultò composta di carbonato di calcio (31,25%); carbone e silice (12,20%), carburo di calcio (12,16%); anidride solforosa (1,10%), calciocianamide pura (43,10%). Una produzione di carburo mediamente di 37 tonnellate al giorno – quella di allora – determinava che si liberassero nell’aria 16.185 chili di ossido di carbonio, 25.457 chili di anidride carbonica e, tanto per gradire, anche 208 chili di anidride solforosa. Nel 1908. Che miracolo avranno compiuto alla Terni senza mettere in campo alcuna gigantesca innovazione tecnologica adatta a contenere le emissioni, se nel 1966 tutto questo era diventato solo un “fastidio”?

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Per saperne di più:
  Monica Giansanti, 
"Agricoltura e industria nella bassa Valnerina:una difficile convivenza", 
in Annali dell'Istituto Alcide Cervi n.17.18, 1995-1996. Ed. Dedalo