Nel giugno del 1583⇒, quando ebbero la rassicurazione dal Comune, se ne tornarono alla Romita tutti giulivi. Ma alla fine di giugno 1587 erano passati quattro anni da allora. E il vescovo quel terreno non lo cedeva. Perché ancora non aveva visto nemmeno uno scudo. Il Comune non onorava l’impegno. “Siamo sommersi da debiti accumulati per colpa dei tributi che dobbiamo versare al governo del papa”, si giustificò il Magistrato civico, un po’ il sindaco di allora. Le casse erano asciutte. Ma siccome la fede è fede ma gli interessi della diocesi sono pure legati al vil denaro, per la costruzione del convento annesso alla chiesa di San Martino c’erano un po’ troppe difficoltà, col vescovo che continuava a ripetere “Vedere cammello…”.
Pensa che ti ripensa, i frati una situazione la trovarono per rimediare i soldi. E il 4 luglio 1587, in piena calura estiva, andarono al Palazzo del Magistrato del Comune. Inutile sollecitare pagamenti quando i soldi non c’erano. Però, dissero in sintesi i frati, ” se i soldi non li cacciate voi, noi li chiederemo al papa”. Un sussidio avrebbero richiesto, ma il governo del papa – pur nella sua munificienza – doveva far quadrare in qualche modo i conti e comunque ci voleva una mediazione che sarebbe stata portata avanti – propnevano i Padre Carmelitani – dal Generale del loro Ordine, cardinale Sodano e dall’avvocato col Comune i quali si sarebbero spartiti i compiti: il cardinale avrebbe intenerito Sua Santità; Il Comune, si sarebbe dovuto impegnare a versare un dazio da aggiungersi ai tributi che già pagava. Della serie: è sempre l’ortolano quello che ci rimette.
Com’è finita? I particolari non si conoscono, fattostà che il convento a San Martino c’è stato fino a non molti anni fa.