Che bei tempi nel 1973, quando c’era soltanto l’ “austerity”

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Allora non c’era in ballo la salute. Ma negare agli italiani di utilizzare l’automobile, ai primi anni Settanta del secolo scorso, era comunque chiedere loro un grosso sacrificio. L’automobile, ma i mezzi a motore in generale, costituivano una specie di attrazione fatale per gli italiani e l’imposizione di lasciarli in garage o, come molti facevano allora, sotto le coperture di plastica che dovevano proteggerne la lucentezza della verniciatura, era quasi un affronto. Eppure toccò starci.

L’annuncio arrivò dopo un summit convocato dal presidente del consiglio Mariano Rumor. Era la fine di novembre del 1973 e si annunciarono provvedimenti ferrei che sarebbero entrati in vigore il 1 dicembre. Da quel gionno cambiava la domenica degli italiani. E non solo, come si vedrà.

Il tutto nasceva dalla “crisi petrolifera”. I Paesi produttori di petrolio avevano chiesto una revisione dei prezzi che fu negata dagli organismi internazionali. Loro per tutta risposta ridussero notevolmente la produzione, per cui il petrolio ed i suoi derivati, scarseggiavano. Bisognava tener duro e non cedere ad un ricatto che avrebbe avuto ripercussioni non secondarie sull’economia mondiale.

Lo stato italiano decise quindi di adottare misure adeguate. Non solo si fermavano i motori a scoppio, perché l’obiettivo era anche il risparmio di energia elettrica largamente prodotta dalle centrali alimentate a petrolio incoerenza con una scelta operata anni prima e che dichiarò non degne di interesse le fonti alternatice come l’idroelettrico. Una scelta fatta – si constatò anni dopo – non solo per vantaggio della comunità.

E quindi di domenica e nelle festività infrasettimanali entrò o vigore il divieto di circolazione per tutti i veicoli privati a motore: auto, moto e ciclomotori “di qualsiasi cilindrata”; chiusura obbligatoria dei distributori di benzina, anche automatici, dalle 12 del sabato fino alla mezzanotte della domenica.

Poi c’erano i provvedimenti mirati al risparmio energetico: benzina più cara di 15 lire al litro (il prezzo della super era fissato a 200 lire, della normale a 190): “Andremo tutti in bicicletta” commentava con una punta di sarcasmo il leader repubblicano Ugo La Malfa. Il gasolio per autotrazione passava da 95 a 113 lire al litro: quasi il 20% d’aumento; limite di velocità di 100 chilometri orari sulle strade e 120 sulle autostrade; aumento del gasolio per riscaldamento, e per uso agricolo e marittimo pari a 18 lire al chilo; chiusura dei  cinema e teatri alle 23; trasmissioni televisive interrotte alle 22 e 45; chiusura di bar e ristoranti alle 24; diminuzione dei lampioni dell’illuminazione pubblica del 40 per cento; insegne pubblicitarie ed insegne dei negozi spente.

Il provvedimento più evidente fu il divieto della circolazione nei giorni festivi. Tutti a piedi, ma si poteva uscire. Oppure di usano altri mezzi: e tormarono in strada vecchie biciclette staccate dal chiodo della cantina; tornarono i calessini trainati da cavalli, i carretti coi muli in una specie di gara a chi riusciva ad essere più stravagante ed originale. Si dette sfogo alla fantasia:  improbabili mezzi a pedali spuntavano dappertutto. Tandem, risciò, ma anche nuove “creazione”, con allestimento di mezzi impossibili da definire, composti con pezzi dalla più sconosciuta provenienza legati o saldati insieme ad ottenere mezzi di trasporto a sei o otto posti spinti con i pedali; barche a vela di dimensioni contenute montate su carrelli con cuscinetti a sfera… i pattini furoreggiavano

Le trasmissioni televisive furono adattate alle nuove esigenze. Non solo perché il palinsesto andava sforbiciato per  restare entro i limiti orari imposti (allora c’era solo la Tv di stato e quindi al dovere non si sfuggì), ma si pensarono  trasmissioni ad hoc capaci di tener bloccata sul divano di casa più gente che si potesse. “Domenica in”, per esempio, nacque proprio per questo fine: una maratona che si spalmava su tutto il pomeriggio domenicale e che si rivolgeva ad un pubblico più variegato possibile.

Una seccatura, sembrò all’inizio, quel provvedimento delle domeniche di austerity. Agli inizi ci fu chi protestava. Ma allora il rischio era una multa salata per chi trasgrediva: da 100 mila a un milione di lire. Nei casi più sfacciati c’erano il ritiro della patente o il sequestro del mezzo a motore.

Quasi cinquant’anni dopo magari fossero quelle le motivazione e i provvedimenti. Ora c’è di mezzo la salute. Meglio stare a casa, tanto Domenica ancora la fanno.

w.p.

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