Un luogo sacro, che ha avuto un’esistenza travagliata, tanto che chissà come mai quei tre dipinti s’erano salvati. Edificata nella seconda metà del XVI secolo su progetto dell’architetto fiorentino Annibale de’ Lippi, nel 1860 fu requisita dal goverso sabaudo e trasformata in caserma. Tale fu per più di sessant’anni, quando tornò in possesso della curia. Ma era destino che fosse “terra di conquista” di armati. Nel 1944 eccola usata come alloggiamento delle truppe alleate che stavano risalendo l’Italia. Finita la seconda guerra mondiale la chiesa restò in abbandono.
Quella cappelletta, che si trovava appena fuori le mura cittadine di Spoleto, fu meta di venerazione e di pellegrinaggio, specie dopo che gli spoletini s’erano convinti che le immagini sacre in essa contenute avevano la virtù di liberare da Satana gli indemoniati. Alla cappelletta nel suo insieme si attribuiva anche la protezione della città dai frequenti terremoti. Un luogo del genere meritava un edificio sacro di ben altre dimensioni. E nacque la chiesa.
L’allarme per l’avvenuto furto fu dato il 17 febbraio 1950. Il frate, fu subito individuato. Raccontò tutto agli inquirenti che, una settimana dopo, trovarono la refurtiva a casa dell’antiquario, a Perugia in via dei Priori. “Che c’entro io?” domandò, ingenuo, l’antiquario. “Io ho solo comprato della roba da un frate, come se l’è procurata sono fatti suoi”. E riferì che aveva incontrato il frate per caso e che era stato proprio lui a proporgli l’affare. Lui, l’antiquario, non era nemmeno stato sfiorato dall’idea, fino a quel momento.
Fattostà che per il giovedì 15 febbraio, alle 20, s’erano dati appuntamento nella camera mortuaria dell’ospedale e da questa erano transitati in chiesa. Prese le opere d’arte le aveva caricate nel bagagliaio della sua Fiat 1100 e se le era portate a Perugia.
Eh già, poveretto. Come poteva immaginare che quelle tele e tutto il resto non fossero di proprietà del cappuccino? Non gli credettero, però.
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