Tk e l’Ast in vendita: sicurezze presunte e dubbi reali

ast thyssenkrupp
Il Ministro Stefano Patuanelli

“Come sempre dimostrato dal movimento sindacale ternano oggi siamo uniti e pronti a qualunque iniziativa utile a scongiurare la dismissione del sito”. Se alla fine di una riunione della Fiom Cgil di Terni, cui hanno preso parte il segretario generale della Cgil di Terni, Claudio Cipolla, e il segretario nazionale Fiom, Gianni Venturi, il documento approvato si chiude con questa puntualizzazione c’è da chiedersi se non sia davvero il caso di preoccuparsi seriamente per la situazione determinatasi per l’Acciai Speciali Terni. Se il dramma non pare così imminente, certo è che il momento è molto delicato e a pensare male, se non ci si azzecca – al contrario di quanto diceva quello – per lo meno serve a tener desta l’attenzione di tutti.

La faccenda, si sa, è quella del “disimpegno della ThyssenKrupp”. Così, almeno, viene sintetizzata la posizione della multinazionale di Essen la quale ha annunciato, ancora una volta, che il polo siderurgico di Terni non rientra nei suoi programmi di sviluppo. E che comunque, nel quadro di una riorganizzazione generale e profonda, l’Ast è in vendita.

Così come lo era sei anni fa, così come annunciato più volte fino ad oggi. Solo che oggi pare che la decisione sia più ferma. Il freno? Solo il fatto che la Tk non intende svendere. Bisogna riconoscere che ad Essen si è tenuto fede al proposito di avere a Terni uno stabilimento non che tirasse a campare, ma competitivo, organizzato. Ragion per cui  o il compratore è disposto a riconoscere il valore di ciò che acquisisce, o si cercherà un partner che dovrebbe aderire – anch’esso – a quella linea di pensiero.

Ci vorrà probabilmente un po’ di tempo. Per l’intanto occorre tenere le antenne dritte e la guardia alta: a Terni, in Umbria, in Italia. Perché in ballo c’è l’asse portante – checché se ne dica – dell’economia ternana; ma anche il più grande stabilimento manifatturiero dell’Umbria che consente ai parametri regionali livelli alti di Pil e di quota export; ed infine c’è una produzione strategica per l’Italia che in tempi normali è, dopo la Germania, il secondo grande utilizzatore europeo di acciaio inossidabile la produzione di punta di Ast. L’industria italiana non può quindi trovarsi in balia dei “capricci” dei produttori esteri.

Il sindacato, ossia chi rappresenta i lavoratori (2300 e spicci più l’indotto) la linea l’ha già bell’e decisa da un pezzo: “Il 28 maggio saremo al Mise (Ministero dello sviluppo economico) per ribadire la strategicità delle produzioni di Terni, l ‘unicità del sito (quindi niente frazionamenti o smembramenti, ndr) la salvaguardia dei livelli occupazionali e salariali dei diretti e degli indiretti”. Punto uno.

Punto due: “Individuazione preferibilmente di un player o partner europeo o mondiale e comunque che abbia la capacità di competere sui mercati globali, a cui interessi produrre a Terni”. In aggiunta si chiedono “investimenti certi per traghettare l’azienda fino al momento della vendita”.

Su quest’ultimo fronte, quello degli investimenti, sembra che Massimiliano Burelli, Ad di Ast abbia ribadito al ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli, che i 60 milioni a suo tempo annunciati sono confermati.  Il ministro in verità non ha riferito anche questo particolare nel suo intervento in aula sulla questione siderurgica italiana, in cui – va considerato – ha trattato il quadro generale della situazione dell’Italia nella siderurgia, partendo dall’Ilva di Taranto, passando per Ast ed arrivando a sostenere che “dovendo programmare una crescita economica per il nostro Paese non possiamo più arretrare rispetto all’esigenza di avere un piano industriale certo per l’Italia e un piano specifico per la siderurgia”.

Riguardo all’Ast, il Ministro -. davanti al quale il 28 maggio si incontreranno gli stakeholders del sito ternano – ha espresso valutazioni non drammatiche ritenendo “ci siano almeno due soggetti, ne abbiamo contezza fattuale, che sono interessati storicamente a quello stabilimento, il Gruppo Marcegaglia e il Gruppo Arvedi ma anche di altri soggetti, player internazionali del mercato dell’acciaio speciale. Ritengo però che la presenza di player italiani possa essere garanzia di non trovarci, nuovamente, con imprenditori che promettono investimenti nel nostro Paese e poi magari cercano di chiudere lo stabilimento e arretrare la propria posizione”.

Il dilemma ora è: il gruppo Marcegaglia e il gruppo Arvedi presentano quelle caratteristiche che il sindacato ritiene essenziali? Quale peso hanno sui mercati internazionali? Il fatto che si tratti di gruppi italiani è una garanzia assoluta?

La Fiom Cgil qualche dubbio ce l’ha. E intanto sgombra il campo: “Il Confronto previsto per il 28 maggio 2020 non può avere soluzioni preconfezionate e “gli Italiani” non rappresentano di per sé una garanzia, basti ricordare quello che è successo nel 1994 con la speculazione finanziaria e la cessione totale delle quote alla multinazionale tedesca”. E già perché allora, la società italiana che rilevò dallo Stato il 50% delle acciaierie ternane, così come era previsto della legge sulle privatizzazioni, si rivelò un cavallo di Troia che colorato di bianco rosso e verde all’esterno, nascondeva nel ventre le stesse Thyssen e Krupp.

Certo, ormai questa è storia. Ma hai visto mai…

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