La Ragazza di Bube e le ire del questore di Terni

Piazza Solferino, a Terni, era la piazza del mercato ortofrutticolo.Quella mattina niente bancarelle. C’erano invece seicento persone: tute blu, fazzoletti rossi al collo, bandiere con la falce e martello; e un palco, ai lati del quale erano piazzate le due grandi trombe grigie dell’altoparlante. Ai muri manifesti col simbolo del Pci, che invitavano a votare per la Repubblica e a cacciare via «l’ultimo dei Savoia». Un comizio. Arrivò un diktat del questore di Terni: «Niente comizio. Motivi di ordine pubblico». La solita storia di negazione di un diritto? La solita manovra per tappare la bocca ad una parte politica “non governativa”? Niente di tutto questo, anche perché quella era una mattina di fine giugno 1963: il referendum monarchia-repubblica c’era stato diciassette anni prima. Quel comizio lì, a piazza Solferino, era solo la scena di un film. Gli operai in tuta blu e coi fazzoletti rossi erano comparse. E oltretutto che c’entravano con un comizio politico tutti quei potenti riflettori? E le macchine da ripresa? E tutta quella gente che si muoveva ai bordi della piazza tendendo e tirando fasci di cavi?
Si stava girando un film, “La ragazza di Bube”. La troupe lavorò a Terni per più di due settimane: il regista era Luigi Comencini, gli attori principali Claudia Cardinale e George Chakiris, un attore americano che aveva vinto l’Oscar come interprete di “West Side Story”.
“La ragazza di Bube”, è un film entrato a far parte della storia del cinema italiano, anche se la critica, ai tempi, non è che si sciolse in grandi lodi. Per Terni si trattò di un avvenimento. Il centro cittadino fu, in qualche modo, trasformato per esigenze cinematografiche. In alcuni punti si aggiunsero macerie a ricordare i bombardamenti, visto che il film era ambientato proprio nell’epoca di fine guerra. In verità, in quanto a macerie, gli operai della casa di produzione non dovettero lavorare tanto, dato che le ferite dei bombardamenti, nonostante fossero passati vent’anni, erano ancora più che evidenti in varie zone della città.

Rivedere oggi, quel film, rappresenta l’occasione per tornare indietro di mezzo secolo: l’ingresso del cinema Politeama, lo slargo che oggi ospita i giardini Miselli che era solo una brulla radura, con una costruzione proprio all’angolo di via Primo Maggio, un cubo di mattoni e tufi che nel film è “nobilitato” da un’insegna con su scritto “Stireria” e che in realtà era una

cabina elettrica. La città e i ternani di allora, personaggi cittadini all’epoca piuttosto conosciuti come quel signore che ebbe una piccola parte: doveva impersonare un losco individuo che al cinema, il Politeama, importunava pesantemente Claudia Cardinale che era seduta a fianco a lui. Evidentemente seguace del metodo Stanislavskij entrò talmente nella parte da assumere atteggiamenti che resero difficilissima la ripresa, visto che la Cardinale non appena ne vedeva l’espressione,
non riusciva a controllarsi e sbottava a ridere irrefrenabilmente. “L’attore” venne poi soprannominato quel signore di una quarantina di anni, “ospite fisso” dello struscio a corso Tacito, sempre con giacca e cravatta, gli occhiali con montatura in oro, i capelli impomatati.
Quella mattina, a piazza Solferino, si doveva girare, appunto, la scena del comizio. «La Ragazza di Bube, 87, prima», aveva già urlato il “ciacchista”. Fermi tutti – invece – intimò la questura. La scena del comizio non si poteva girare. I dirigenti della casa di produzione, la Vides, furono perciò fermamente invitati a rinunciare a quella scena, a tagliarla dal film, altrimenti – fu detto loro – sarebbe intervenuta la Celere, già allertata.
Fu necessario l’intervento di un deputato del Pci, Alberto Guidi, per dipanare la matassa. Guidi, di professione avvocato, imbastì una sorta di arringa al cospetto del questore, cui fece notare che il referendum istituzionale era già storia. Non c’erano pericoli quindi per l’ordine pubblico ed il divieto era illecito. Si lesse anche il testo del discorso che sarebbe stato pronunciato:
«Con la fuga di Pescara, la monarchia, che aveva già consegnato l’Italia al fascismo tenendogli bordone per venti anni,ha compiuto l’ultimo atto del suo tradimento». Seguiva una “classica” celebrazione della Resistenza e della guerra partigiana, quindi l’attore-oratore concludeva con un “Viva la Repubblica, abbasso la Monarchia”. Parole di Carlo Cassola, autore del romanzo da cui fu tratto il film. E la scena si girò.

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