Napoleone, ufficiale ma non gentiluomo

Gli atti eroici? L’aspetto marziale? I modi rudi e le espressioni da caserma? Macché! Non era roba per lui, quella. Nonostante il suo “mestiere” fosse quello del soldato. Una carriera che s’era scelta nel 1861, a vent’anni, quando spinto dall’entusiasmo s’era arruolato nel nuovo esercito italiano, subito dopo la proclamazione del regno d’Italia con Vittorio Emanuele II sul trono.
A Perugia, la sua città, s’era presentato al distretto militare ed era stato irreggimentato come ufficiale di fanteria.
Da una città all’altra per una serie di trasferimenti, fino a trovare pianta stabile a Torino, dove ben presto scoprì i piaceri della bella vita che si poteva campare nella città diventata da poco capitale d’Italia. Ben presto diventò conosciutissimo; e conteso dai salotti bene, costantemente invitato alle riunioni del bel mondo, ricercato dalle belle donne. Una vita fascinosa,ma che richiedeva anche una qualche disponibilità economica, e comunque tale che lo stipendio di un giovane ufficiale non bastava a far fronte. Toccava un po’ “arrangiarsi”. E il giovane ufficiale perugino s’era dato da fare. Anche troppo visto che, nel 1868, si trovò, imputato, davanti al Tribunale Speciale Militare di Torino: dalle casse del suo reggimento, il 69. Fanteria, erano misteriosamente mancate 171 lire.
E così, come raccontò il cronista, «ieri, 23 agosto 1868, davanti al Tribunale militare speciale di Torino, presieduto dal generale Piola Caselli, compariva il più bell’ufficiale del nostro esercito». Parere personale del cronista? No – si è affrettato a specificare questi – dato che «tutti dicevano ciò, e tutti nutrivano gran simpatia per lui, per la sua straordinaria avvenenza, pei suoi modi gentili e graziosi, pel suo sonoro timbro di voce, per il suo squisito gusto nel vestire».
Un bijou, in sostanza, questo ufficiale, che «chiamasi Polidori Napoleone, d’anni 27, nato in Perugia, luogotenetente nel 69 reggimento di fanteria». Altro che il soldataccio rude che terrorizza i nemici! Le battaglie in cui il bell’ufficiale perugino era capace di eccellere – sembra di capire – erano ben diverse da quelle combattute nel fango delle trincee o in mezzo alle montagne a stanare i briganti, o a rincorrere le truppe papaline e quelle francesi.
Napoleone, sì, ma solo di nome. Niente a che vedere insomma, nella figura e nei modi, col suo omonimo di Ajaccio. Tanta beltà, comunque, cadde in fallo. L’accusa era di furto. Per una cifra, nonostante i tempi, nemmeno esagerata seppur consistente. Il cronista giudiziario parteggiava apertamente per lui. Al suo cospetto, quindi, il pubblico ministero, diventava immediatamente «il terribile avvocato Fiore» che accusava l’Adone in grigioverde «di prevaricazione per essersi appropriato di lire 171 di spettanza dell’amministrazione militare». Il luogotenente Napoleone provò a giustificarsi, con argomenti in verità un po’ debolucci: «Le ho perse durante il viaggio», disse. Viaggio da dove e per dove e motivato da che il cronista di 150 anni fa non lo riferisce, limitandosi a lasciar scritto per i posteri che l’avvocato difensore Ambrogio voleva che gli si prestasse fede. Ma non ci fu niente da fare. Nonostante la “strenua” difesa
dell’avvocato Ambrogio e nonostante – stando sempre alle cronache – il clima di generale rammarico che aleggiava nell’aula «Il Tribunale, per quanta simpatia avesse ancor lui per il Polidori, lo condannò».E non ci andò nemmeno tanto leggero se è vero che la pena stabilita fu di tre anni di reclusione oltre alla destituzione.
Il bel Napoleone perugino, finì così la propria carriera militare. Pagando anche per il suo essere per i tempi un tipo certo originale. In quegli anni gli ufficiali solitamente chiudevano con un duello le diatribe. Napoleone, invece, era un antesignano dei figli dei fiori: fate l’amore e non la guerra.

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