Maceo Carloni e il “Fascismo d’acciaio”

Maceo Carloni

Anni “vivaci” per le acciaierie di Terni quelli del primo periodo del fascismo. Sono gli anni in cui, con la guida di Arturo Bocciardo la vecchia Saffat, che trova nella siderurgia e nella fonderia il proprio “core business”,

fascismo e acciaierie di Terni
L’ingresso delle acciaierie: sta per arrivare Mussolini

acquisita la fabbrica del Carburo, si mette decisamente sulla strada della produzione di energia elettrica. Nasce la “Terni società per l’industria e l’elettricità”, che avrà fine nel 1963, quando l’energia elettrica sarà nazionalizzata. La “Terni” forte, che completa l’opera di permeabilizzazione e dominio della vita cittadina. La “Terni” fabbrica totale, che pensa al tempo libero, mediante l’istituzione del dopolavoro; che organizza e promuove le attività culturali, costruendo sale teatrali e cinema; che dà mano alla realizzazione di villaggi operai in periferia. Che, sollecitata, assicura anche seppur in maniera parziale, servizi socio-assistenziali: dagli ambulatori medici, a impianti sportivi; dagli asili alle colonie marine per i figli dei dipendenti. C’è molto paternalismo, in tutto ciò, e c’è soprattutto – secondo i sospetti delle organizzazioni di sinistra – una volontà di rendere maggiormente agevole “monitoraggio”. Ed è ovvio che esistano diffidenze nei confronti di questa fabbrica che in un certo momento cercherà di favorire l’adesione al partito fascista da parte dei propri lavoratori nel quadro non tanto di una collaborazione col regime, ma anche per proprio tornaconto nel tentativo di infilare un piede anche dentro il fascismo ternano. E ci riesce, seppur scavalcandolo e utilizzando le buone relazioni di Bocciardo con Mussolini, al punto di ottenere la defenestrazione di Elia Rossi Passavanti, podestà e deputato, quando questi chiede alla “Terni” una convenzione più onerosa per lo sfruttamento delle acque.
Un periodo che, rispetto ad altri della storia cittadina ternana, risulta solo in parte studiato, analizzato, dagli storici locali i quali, specialmente nel Dopoguerra e dopo la fine del regime, hanno risentito di una sorta di ritrosia a porvi l’attenzione. Segni di un passato che resta, però. E perciò non può non creare interesse uno studio come quello che uno storico di professione, perugino come Stefano Fabei ha raccolto in un libro, “Fascismo d’acciaio”. Potrebbe sembrare un’ulteriore riscrittura della storia controversa del Ventennio, la guerra, la Resistenza. Fabei, invece, cerca di porsi nella condizione di un cronista della storia: “Raccontare i fatti, ma tutti” è, sintetizzato in uno slogan, il discorso di fondo. E Fabei ci riesce praticamente sempre. Pur se nello scorrere il libro ricco d’informazioni e di vicende e valutazioni storiche complesse, in alcuni casi è appena percepibile un leggero “revanchismo”. Fabei, comunque, scrive largamente e apertamente delle divisioni, delle lotte di potere interne del fascismo umbro e ternano; dell’acquiescenza allo strapotere della “fabbrica” la quale intrattiene rapporti diretti con Mussolini. Giovandosi delle misure economiche – le commesse statali e poi l’Iri – e normative introdotte dal fascismo e che a Terni sono sostenute a spada tratta da Maceo Carloni, leader del sindacato fascista e del corporativismo ternani. Carloni, mazziniano convinto, è figura di primo piano tra i lavoratori ancor prima di aderire, solo nel 1932, al Pnf.
Proprio l’uccisione di Maceo Carloni, un’esecuzione fredda e per molti non giustificata, ad opera di una squadra di partigiani della brigata Gramsci costituisce il perno del lavoro di Fabei. L’esame della personalità di un galantuomo che si batté per il rispetto dei contenuti della carta del lavoro e dello statuto del sindacato fascista che a giudizio di Carloni contenevano garanzie importanti per i lavoratori. La “Terni” quelle misure le piegò spesso a proprio vantaggio, utilizzandole per invadere la vita cittadina, per far valere i suoi interessi suscitando il malcontento tra tanti operai che, nell’opporsi,accomunarono alla fabbrica il sindacato fascista e soprattutto un fascismo ternano diviso e più che acquiescente, che di fronte alla prepotenza della “Terni” non sembrò d’acciaio, ma di burro.

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Stefano Fabei, “Fascismo d’acciaio”,Mursia 2013.Euro 22