Vendeva lamette “Bandiera Rossa”, ambulante nei guai

 

“Bandiera Rossa”: era questa la marca delle lamette da barba che, il 6 maggio 1955,  stava vendendo agli operai delle acciaierie di Terni. Il pericoloso sovversivo fu subito individuato e bloccato proprio davanti alla portineria della fabbrica. Si trattava di un giovane di 27 anni arrivato da fuori, Silvio Capeggia di professione venditore ambulante. Fu sorpreso a “spacciare” lamette da barba che si chiamavano, appunto, Bandiera Rossa. Non solo, ma – come riferiva il verbale della questura di Terni – sotto la scritta della marca c’era in aggiunta di un titolo che era tutto un programma: Lama del lavoratore.  E mica bastava, perché ogni bustina, sotto il disegno della bandiera rossa recava “alcuni puntini di sospensione e la dicitura che trionferà”. Un “trionfera” che era propaganda politica, perché riferito alla bandiera rossa, o sicumera commerciale perché manifestava la convinzione che la “Lama del lavoratore” avrebbe avuto un grande successo di vendite?

Comunque quando è troppo è troppo: la merce fu sequestrata e l’ambulante fu interrogato. “Le ho prese da un grossista di Firenze” disse. Così, quest’ultim, il giorno dopo vide presentarsi davanti al magazzino gli uomini della questura del capoluogo toscano: “Quelle lamette me le ha fornite una ditta di Milano”. E le indagini si spostarono nuovamente, stavolta a Milano.

Il “busillis” era sempre quello: si trattava di un caso di speculazione politica, visto che quella propaganda non era stata autorizzata, o si trattava di “semplice” speculazione commerciale? Non si sa come finì, ma c’è da dire che a Milano di questioni del genere erano pratici. Poco tempo prima, infatti, avevano dovuto prendersi di petto un commerciante siciliano che in Lombardia aveva fondato una ditta chiamata URSS. Anche questa si prefiggeva lo scopo di venire incontro ai lavoratori e far spendere loro qualche lira in meno per sbarbarsi. Sì, perché URSS in questo caso significava Utensili Rasoi Saponi Speciali.

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