Aquila reale si vendica contro il cacciatore che ha ucciso il compagno

caccia Cacciatori mostrano orgogliosi un'aquila uccisa.
Cacciatori mostrano orgogliosi un'aquila uccisa.
Cacciatori mostrano orgogliosi un’aquila uccisa. La foto, tratta dal Messaggero, è stata riprodotta in L’Umbria, Manuali per il territorio Vol.I

Chissà se il suo gesto lo racconterà ai nipoti per farsi bello. E, soprattutto, chissà come reagiranno loro a sentire il nonno che racconta di quella volta che, per provare il fucile da caccia il giorno della preapertura del 2013 “buttò giù” un’aquila reale. Un’aquila reale? E quando avranno mai l’occasione di vederla volare, volteggiare nel cielo i suoi nipoti? Era un giorno dei primi di settembre che il cosiddetto “cacciatore” ha ucciso, sul Monte Coscerno, in Valnerina, uno dei rari esemplari di aquila reale che trovano ancora in quella zona l’habitat a loro confacente.

Sembra che in tutto l’Appennino umbro–marchigiano siano solo una quindicina le coppie nidificanti. Una “bravata” che un vero cacciatore non farebbe. L’aquila è, come noto, animale protetto. Il bracconiere dopo aver gioito nell’intimo, se l’è data a gambe lasciando la carcassa lì, a marcire. Chi l’ha trovata ha avvertito i forestali: la carcassa era quella di un’aquila reale di due o tre anni, in perfette condizioni fisiche prima che venisse raggiunta da un colpo sparato da non più di venti metri, probabilmente con una munizione di quelle che si utilizzano per la caccia al cinghiale.
Certo, l’aquila è un predatore e un nemico per gli allevatori che si vedevano portar via pecore e agnelli. La reazione, la caccia all’aquila era, perciò, dal loro punto di vista la difesa del loro lavoro, del loro sostentamento. C’è in qualche vecchio libro una foto con due giovanotti che, soddisfatti, si espongono all’obiettivo mostrando un’aquila morta: una foto scattata in corso Mazzini a Spoleto. Lì era possibile incontrare il corrispondente del Messaggero, negli anni Cinquanta, e la foto finiva sul giornale. Un po’ com’è accaduto per chi trovato funghi o tartufi di dimensioni eccezionali, o ha pescato trote e carpe di dimensioni da primato. In quell’anno in cui fu scattata la foto, il 1958, ne furono uccise una decina di aquile sulle montagne della Valnerina.
Accadeva un po’ tutti gli anni. Ma non a tutti coloro che sparavano alle aquile andava sempre liscia. Ad un “coraggioso guardacaccia” di Spoleto, così definito in un articolo di giornale dell’epoca, un’aquila la uccise, ma poi dovette fare i conti col suo compagno. Era l’estate del 1951, i primi di luglio. Ma Antonio, così si chiamava il guardacaccia, la vide, ad un certo momento, complicata.
Nei pressi di Gavelli, « a duemila metri di altezza», scrissero con la solita esagerazione i giornali, «il coraggioso guardacaccia di Spoleto, arrampicandosi in una scogliera a strapiombo di circa 400 metri, dopo un appostamento durato più giorni, è riuscito a catturare un nido di aquile asportando vivi due aquilotti nati circa un mese fa ed uccidendo a colpi di fucile la madre, un esemplare di grossa taglia che misura un’apertura di ali di metri 2,20».
«Il coraggioso guardacaccia _ continuava la cronaca _ mentre arrampicandosi sulla roccia si avvicinava al nido sparando, provocava la fuga del maschio».
Il problema, per il nostro “eroe”, fu che le aquile quando si accoppiano, mettono proprio su famiglia, e restano fedeli vita natural durante. Come poteva il maschio di una specie così nobile non reagire? Ed infatti reagì. Ancora le cronache giornalistiche: «L’aquila maschio ritornò sul posto e, strisciando a terra, afferrava con gli artigli due grosse pietre. Innalzatosi di nuovo a grande altezza, circa 400 metri, lasciava quindi cadere i proiettili nei pressi del nido e solo per fortuna i sassi non hanno colpito né il guardacaccia né altre due persone che si trovavano con lui poco distanti».
Una lezione, comunque, quell’aquila–.padre e marito ci provò a darla a chi gli aveva distrutto la famiglia e si armò come poté: chissà come sarebbe andata a finire se avesse avuto anch’essa la possibilità di imbracciare un fucile? L’aquila “madre” uccisa venne portata a Spoleto, insieme ai due aquilotti “presi prigionieri”. Tutti e tre _ riferiscono i giornali a chiusura della notizia _ sono stati esposti.
Ma non finì lì, per quell’estate. Un mese dopo, nuova notizia: «Un’altra grossa aquila reale è stata uccisa nello spoletino, a Passo D’Acera, località situatata a soli 500 metri di altitudine, a pochi chilometri dalle fonti del Clitunno». Era scesa ad una quota inusuale. Non sarà, forse, stata l’aquila “padre” che andava ancora cercando Antonio?

 Aquila si vendica contro il cacciatore

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