La tecnologia diffusa scippa ai cittadini il controllo della quotidianita’

controllo

L’Intervento

di VALENTINO FILIPPETTI*

Diceva un grande storico del mediterraneo, che credo possa essere considerato un testimonial antesignano delle città Slow, come Fernand Braudel , che le città sono rappresentate dalle proprie strade. Intendeva dire che è la vita relazionale, la mobilità sociale che identifica l’anima di una metropoli, più ancora dei grandi edifici o  dei grandi monumenti. Oggi possiamo aggiornare questa visione dicendo che  la qualità di una città sta proprio nella trasparenza e nella condivisibilità dei suoi dati. Sono proprio i dati a incardinare la cittadinanza, e dunque ad assegnare  il grado di vivibilità di un territorio abitato. Oggi i dati  scaturiscono dai nostri movimenti. Mentre vi parlo  un data base sta raccogliendo le mie parole, e traccia i vostri commenti, e documenta il dibattito che ne consegue, concatenazione di questi pulviscolari filari di dati  ci permette di comprendere la dinamica di una comunità. O meglio permette ad alcuni di comprenderlo, e anche di orientarlo. 

Pensiamo alla mobilità in una città: pensiamo a quei monopattini che ormai punteggiano le nostre strade, o le biciclette, o ancora in altre realtà motorini e auto elettriche. Sono sistemi leggeri, che vengono considerate conquiste per la sostenibilità. Ma sono anche  seminatori di dati: in una giornata circa 80 mila corse di monopattini a Milano o a Roma disegnano grafiche che ci dicono come si è mossa la città, in quale direzione, con quale densità, e , leggendoli bene, incrociandoli con altri flussi che provengono dai telefonini e dalle mail ci dicono anche perché o con chi abbiamo vissuto in questa giornata. 

Questa realtà è disponibile solo per pochi individui, quelli che  in un recente saggio scritto dal professor Andrea Crisanti, uno dei più prestigiosi micro biologi che si è impegnato in questa terribile pandemia, con il giornalista Michele Mezza, dal titolo Caccia al Virus, sono definiti i calcolanti, attorno ai quali galleggiano milioni di calcolati, di cittadini i cui comportamenti sono condizionati, decifrati, e interpretati appunto dai pochi che controllano i data base.

Ora la domanda che vi propongo è: possiamo pensare che la qualità della vita in una città possa prescindere da questi temi?  Possiamo credere che in una comunità, quali quelle che qui sono rappresentate, o anche come il mio piccolo come di Parrano, possano illudersi di costruire modelli sociali  vivibili e di qualità prescindendo dal fatto che ogni gesto, ogni decisione, viene profilata, come si dice da sistemi di tracciamento che permettono a pochi gruppi tecnologici di interferire  sulle attività e sulle scelte che si compiono?

Pensate a quanto è accaduto nella pandemia che abbiamo ancora attorno a noi. Le nostre città hanno visto paralizzato il sistema delle relazioni. Il patrimonio su cui avevamo deciso di investire, ossia la qualità dei rapporti sociali ed umani, è stasto stravolto. Abbiamo avuto vittime , ricoverati, sofferenze.   

Eppure le nostre città avevano sistemi per prevenire parte di questi scompensi indotti dal contagio. Potevamo analizzare il nostro territorio, capire se vi erano dei moltiplicatori di contagio, se gli asintoimatici avevano degli amplificatori come erano scuole, discoteche o mezzi di trasporto. Qualcuno come ad Esempio Google e Apple , i titolari dei due sistemi operativi che governano il 92 % dei telefonini del pianeta, aveva queste informazioni. Un anno mezzo dopo l’avvio della pandemia i due gruppi della Silicon valley hanno pubblicato ognuno per suo conto, un mobility report in cui documentavano queste informazioni: spiegavano in 94 paesi del mondo, città per città, quartiere per quartiere, caseggiato per caseggiato, come ci siamo mossi, con quali messi, per andare dove e per fare cosa.  Ancora il professor Crisanti nel testo che ho già citato dichiara che per il contrasto al contagio questi dati sono indispensabili, preziosissimi, e si chiede: quanti morti ci vogliono perché nelle nostre città i sistemi di georeferenzazione e di tracciamento con cui da anni Google, Apple Amazon ci controllano passo passo e con cui fanno profitti giganteschi possano essere usati almeno nelle emergenze sanitarie per il pubblico interesse? A questa domanda dobbiamo rispondere tutti noi, senza voltarci dall’altra parte. Le nostre città tranquille, belle, vivibili non possono ignorare che i loro cittadini vivono ancora sotto questa minaccia.

La pandemia è il pretesto ma il nodo è più generale: non esiste libertà, veloce o lenta, senza la capacità di ottimizzare questa straordinaria risorsa che sono i dati per il pubblico interesse per i beni comuni. Come i grandi prodotti della terra, le grandi abilità artigiane, il patrimonio artistico e ambientale, anche i dati sono fattore costitutivo della civiltà e della nostra vita.  Per questo vi propongo di impegnarci tutti per una carta della civiltà e del benessere tecnologico, in cui le nostre città siano avanguardia di una rivendicazione che ci porti e condividere e negoziare territorialmente queste attività: come per l’edilizia, dobbiamo avere un piano regolatore dei dati e della connettività che riporti sotto il controllo della cittadinanza la vita dei cittadini.

*Sindaco di Parrano