“Febbre dell’oro” sul Monteluco

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Ma sì che era sicuro! Eccome! Ci aveva lì la carta disegnata proprio da colui che ce l’aveva nascosto, il tesoro, sul Monteluco. Come l’aveva avuta? Beh, non poteva dirlo. Era un segreto. Il problema era un altro: si poteva fare di andare a cercare un tesoro, mettersi a scavare senza passare guai? O era meglio avvisare i carabinieri, almeno la faccenda diventava legale e non c’erano rischi?
Anno 1951, giugno: la guerra era finita da pochi anni. Lui, ex “repubblichino” residente a Perugia chiese consiglio a un conoscente. E raccontò che verso la fine della guerra, era in gattabuia a San Vittore a Milano. Un giorno misero in cella con lui un tedesco, un ufficiale dei parà. Lo avrebbero fucilato la mattina dopo. Era stato condannato a morte dalla Procura Militare perché responsabile di furti e razzie in Abruzzo e Umbria: un sacco di soldi, gioielli, pietre preziose presi anche nelle chiese. . Come l’Abate Faria con Edmond Dantès, il tedesco spiegò che quella grandissima quantità di banconote e preziosi, era diventata ingombrante per lui ed i suoi uomini che stavano battendo in ritirata. Allora, raccontò, decisero di mettere il tutto in quattro casse metalliche, di quelle per le munizioni, che poi sotterrarono vicino all’accampamento. Passata la buriana sarebbero tornati in Italia a riprendersi il tutto. Erano sul Monteluco, vicino Spoleto, in un bosco fitto fitto. E spiegò che il tesoro si trovava dentro il cimitero dei frati di San Francesco, vicino al cancello della grotta di Sant’Antonio. C’era da scavare per quattro metri – aggiunse – ma con molta attenzione perché attorno alle casse metalliche erano state messe quattro mine anticarro innescate. Purtroppo per lui, però, lo avevano scoperto e condannato a morte. Era davvero un peccato che tutta quella roba rimanesse sotto terra. . .
Tutte queste informazioni “segrete” arrivarono alle orecchie di un folignate che insieme a due amici decise di recuperare il tesoro. Fu così che – riferiscono i giornali dell’epoca – il sarto Betori, il fotografo Di Luzio ed il barista Degli Espositi decisero di agire. Ma prima, ad ogni buon conto, informarono i carabinieri, riferendo tutta la faccenda di San Vittore ecc. ecc.
I tre, convinti di essere i soli a sapere del tesoro, quando la notte salirono al bosco di Monteluco, riumasero con un palmo di naso. Le voci corrono, specie quando si tratta di “segreti”. E così già da qualche tempo, di notte, a Monteluco era tutto un vorticare di pale e picconi. Era scoppiata la “febbre dell’oro”. Tanto movimento preoccupò i carabinieri, i quali saputo dai tre folignati della presenza delle mine anticarro, chiesero l’intervento di specialisti dell’esercito con le apparecchiature adatte per individuare gli esplosivi. Se non altro per evitare che qualcuno si “facesse male”. Gli artificieri arrivarono in tutta fretta e si misero immediatamente all’opera. Anche loro però dovettero rinunciare quasi subito a causa di un equivoco di quelli che sembrano nascere dalla fantasia di un barzellettiere.
Un boscaiolo, notato tutto il movimento, avvertì il commissariato di Spoleto, riferendo di alcuni individui che, con attrezzi strani, s’aggiravano per Monteluco. Gli agenti arrivarono come falchi, “impacchettarono” tutti coloro che trovarono impegnati nelle ricerche del tesoro, compresi i tecnici dell’esercito. Tutti in commissariato per i dovuti accertamenti. Li rilasciarono qualche ora dopo.
E il tesoro? Non se ne trovò traccia. Da buon parà l’ufficiale tedesco, uomo di mondo, prima di finire fucilato forse s’è voluto togliere uno sfizio. O forse il vero parà , in tutta la storia, non fu lui.
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