Economia umbra: una “debolezza” aggravata dall’emergenza Covid

Banca d'Italia economia umbra

Il rapporto della Banca d’Italia di Perugia: servono contromisure

Dati diffusi dalla Camera di Commercio di Terni fotografano la situazione della natalità delle imprese nella prima metà del 2020, registrando una contrazione di oltre il 40 per cento rispetto al 2019.  In Umbria significa in numero assoluto che sono state avviate cinquecento nuove imprese in meno rispetto a dodici mesi prima.

E’ una sola delle ripercussioni dell’epidemia Covid sull’economia umbra che registra in generale “una forte contrazione dell’attività nella prima parte del 2020 – informa la Banca d’Italia nel suo rapporto di metà anno sull’economia regionale –  La flessione, più marcata per i servizi turistici e culturali, della ristorazione e del commercio al dettaglio non alimentare, è stata diffusa. È diminuita anche la natalità di impresa (come si legge nei numeri della Camera di Commercio, ndr). I piani di investimento sono stati rivisti al ribasso. L’economia regionale, già colpita duramente dalla crisi finanziaria globale che ha riportato il PIL sui livelli della metà degli anni novanta, risente di profonde debolezze strutturali, riconducibili principalmente alla bassa produttività totale dei fattori”.

Pioggia sul bagnato, in sostanza. L’effetto lockdown si è abbattuto in Umbria su un’economia debilitata da anni di crisi, con un 2019 che s’era chiuso – appunto – con segnali di ripresa, ma talmente deboli da aver bisogno di conferme nel 2020 per essere presi in considerazione. “La crescita del fatturato delle imprese industriali si è interrotta, anche nella componente estera che nel decennio precedente aveva fornito quasi ininterrottamente un contributo positivo. Nei servizi le vendite hanno rallentato, mentre nell’agricoltura e nell’edilizia era proseguito il parziale recupero dell’attività avviatosi nell’anno precedente”.

Un quadro per niente incoraggiante ancor prima dell’ultima tegola. Confermato dalle risultanze di un confronto effettuato da Bankitalia tra la dinamica del PIL pro capite dell’Umbria “con quella di un gruppo di regioni europee simili per reddito pro capite, popolazione e struttura produttiva”. Riferimento sono stati alcuni anni pre-crisi (dal 2001 al 2007), la doppia recessione (2008-2014) e la seguente fase di ripresa ciclica (2015-2017). Il risultato è che “In tutto il periodo considerato l’andamento del PIL pro capite dell’Umbria è stato sensibilmente peggiore rispetto al gruppo di confronto”.  Intanto già negli anni pre crisi il tasso di crescita umbro era inferiore di quasi due punti (1,9) percenuali l’anno. Un divario significativo che si è ampliato fino a diventare di 2,6 punti durante le crisi, quando la caduta del prodotto regionale è stata particolarmente accentuata.

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Dopo il 2014 l’economia umbra ha registrato una ripresa di intensità pari a circa un quinto di quella rilevata in media nelle regioni europee considerate, eppure il divario del tasso di crescita del PIL pro capite ha registrato un seppur contenuto ridimensionamento. Com’è potuto succedere? La risposta che danno i dati rilevati da Banca d’Italia  è intanto che nel frattempo si è registrato il “peggiore andamento demografico osservato in Umbria”, ma la spiegazione più consistente va ricercata in altri parametri. “La dinamica più debole del PIL pro capite rispetto al gruppo di confronto è spiegata in prevalenza dal minore contributo fornito dalla produttività oraria del lavoro (PIL per ora lavorata) – spiega il rapporto – in tutto il periodo esaminato. Anche la componente occupazionale ha contribuito, seppure unicamente durante la doppia recessione, alla peggiore performance dell’economia umbra; vi hanno inciso sia il calo dell’intensità di utilizzo della forza lavoro, dovuto anche al crescente ricorso a posizioni di lavoro a tempo parziale, sia il negativo andamento dell’occupazione nelle fasce di età più giovani, solo in parte compensato dalla crescita tra i lavoratori più anziani”.

l’andamento lento dell’economia è stato quindi fortemente influenzato dal calo di produttività – e quindi di efficienza – e, in seguito, dalla diminuita intensità di capitale.

Nei primi vent’anni del terzo millennio – è la risultanza di tanti ragionamenti – “la posizione relativa dell’Umbria nel panorama europeo è nettamente peggiorata. In particolare, nel 2000 il PIL pro capite regionale (valutato a parità di potere di acquisto) era uguale al 119 per cento della media UE28 e in linea con quello del gruppo di confronto, mentre nel 2017 era sceso all’83 per cento, un dato inferiore di quasi un terzo rispetto alle regioni europee considerate”.

L’effetto a ciò collegato è che l’Umbria ha subito il declassamento nella categoria delle regioni “in transizione”, con rispercussioni a partire dal prossimo ciclo di programmazione dei fondi europei.

Covid o non Covid questo era ed è lo stato “del motore economico” umbro. Un motore di cilindrata ridotta che si troverà ora far marciare l’automobile su un terreno reso più accidentato e su un tracciato in salita con pendenzea ben più impegnative del previsto. Potrà farcela, o abbisogna di interventi meccanici non secondari? La domanda è retorica.

Debole, sì, ma di ripresa si poteva, quindi, parlare ad inizio 2020: il PIL, nel 2019, è aumentato dello 0,5 per cento (a fronte di un calo registrato negli anni precedenti pari al 15%) , le esportazioni che avevano registrato una lunga fase di espansione tornavano però a frenare, gli investimenti diminuivano; edilizia ed agricoltura avevano continuato  a recuperare attività, ma nei servizi la crescita aveva rallentato. L’occupazione era cresciuta soprattutto nel lavoro dipendente a tempo indeterminato, favorito dalle trasformazioni dei rapporti a termine. Le famiglie consideravano ancora soddisfacente la propria situazione economica. I consumi si erano tuttavia indeboliti per la frenata degli acquisti di beni durevoli.

Alla fine di marzo 2020 arrivano i provvedimenti di lockdown con le misure di sospensione delle attività non essenziali, con una conseguente forte contrazione del valore aggiunto prodotto, seppure in linea con i dati nazionali.

Il futuro prossimo? Gli operatori non mostrano ottimismo se come sottolinea il rapporto di Banca d’Italia “si attendono che il recupero dell’attività nella seconda parte dell’anno sarà molto parziale. Le stime più recenti dell’Agenzia Umbria Ricerche indicano – comunque – per il 2020 un calo del PIL lievemente meno intenso rispetto al resto del Paese”.

D’altra parte come essere fiduciosi? Riferisce Bankitalia:“ La domanda interna ed estera rivolta alle imprese umbre ha subito un forte calo nella prima parte dell’anno. L’indagine straordinaria condotta su un campione di imprese industriali e dei servizi tra la metà di marzo e la metà di maggio prefigura una diminuzione del fatturato di quasi un quinto nel primo semestre”. Il settore più colpito è il terziario, soprattutto per il lungo stop delle attività di alloggio, ristorazione e commercio al dettaglio non alimentare, e questo determina che le prospettive peggiori riguardino il comparto turistico, anche se il recupero potrebbe essere meno lento rispetto ad altre aree del Paese, per la bassa dipendenza dei flussi dal turismo internazionale mentre per i servizi il calo dell’attività sarà più persistente per le restrizioni ancora in vigore all’aggregazione sociale.

“Anche l’edilizia ha subito gli effetti della pandemia in misura significativa; al contenimento delle perdite potrebbe contribuire- si legge nel rapporto – oltre ai recenti provvedimenti di incentivo, il recupero dei ritardi accumulati per la ricostruzione post-terremoto”.

Sul fronte industriale la situazione rilevata dalle aziende delinea uno scenario analogo a quello della fase più acuta della crisi finanziaria globale. Il calo del fatturato è stato più accentuato per i cementifici, per le imprese inserite nelle filiere globali dell’automotive e dell’aerospace e per quelle dell’abbigliamento. Solo il settore alimentare, che nel precedente decennio aveva subito un forte ridimensionamento dell’attività, e i produttori di beni igienizzanti e sanitari hanno incrementato le vendite.