E’ ritornato in prestito il Telamone, ma non può bastare un “contentino”

Il Telamone è tornato a Terni. In prestito ma “stiamo lavorando per una soluzione più stabile e duratura” assicura l’assessore comunale alla cultura e turismo Andrea Giuli.

Al di là del suo valore archeologico, culturale e storico, il Telamone è prima di tutto un simbolo. Come noto si tratta di una statua di marmo bianco che rappresenta una figura maschile con sembianze di un satiro , con corna e orecchie appuntite. I telamoni sono di solito utilizzati per sorreggere altri elementi architettonici, in parole povere colonne seppur finemente lavorate. Non è “ternano” nel senso che, come illustrò in uno studio l’ex soprintendente Mario Pagano, il Telamone di cui si tratta faceva parte della decorazione architettonica e scultorea del Canopo di Villa Adriana di Tivoli. A Terni  arrivò tra il 554 e il 565. In circostanze tuttora non note. Secondo alcuni era su una barca che risalendo il Nera affondò. Fattostà che il Telamone fu ritrovato a Terni nella zona di porta Romana nel 1971, nel corso di alcuni lavori di scavo. Ripulito, osservato e forse studiato finì in una cassa depositata nei sotterranei e del museo archeologico perugino. Fino a quando una decina di anni fa fu estratto dalle casse e scelto a simbolo del museo archeologico umbro.

Fu in quel momento che il Telamone diventò un simbolo: il simbolo di una Terni sconosciuta ai più che affonda le sue radici nelle vicende di uomini che la scelsero fin dagli albori della civiltà a loro luogo di vita. Il simbolo di una storia dimenticata spesso prevaricata da quella che è ormai considerata l’epopea della seconda fondazione della città, legata alla sua industrializzazione. Il simbolo di una negligenza durata decine di anni con un’opera che veniva valorizzata altrove mentre, secondo una corrente di pensiero piuttosto condivisa, certe testimonianze storiche hanno più senso se valorizzate nel contesto originale anche se solo del ritrovamento, come in questo caso.

Quella necropoli, grandissima che fu ritrovata proprio durante gli scavi per costruire le nuove fabbriche; la miniera che essa su rivelò per la grande quantità e varietà di reperti, tutti finiti in varie casse e oggetto di “diaspora” che li portò negli scantinati di vari musei, era una miniera che Terni aveva il diritto-dovere di coltivare.

Di questo concetto il Telamone fu bandiera. Per troppo tempo a Terni nemmeno si immaginava quale ricchezza culturale rimaneva celata, non studiata, non conosciuta. La vicenda che riguardava quel pezzo di statua fu l’occasione di porre questi problemi. Di sottolineare l’esigenza che tutto tornasse alla luce e che fosse Terni, lì dove tutto quel patrimonio era stato prodotto, usato e vissuto nella notte dei tempi, a mostrarla, a farne arricchimento culturale, identitario, ed anche economico attraverso il richiamo turistico. E’ certo una soddisfazione ora che sia stato riconosciuto almeno il diritto da parte dei ternani di dargli un’occhiata (è esposto al museo archeologo del Caos) ma il Telamone è il dito con cui si indica la luna che nella fattispecie è una richiesta mille volte più grande, più ambiziosa. Chi si bea, si vanta e si contenta di poter vedere il dito non ci ha capito proprio niente. Incoraggia, invece, quel che dice il vicesindaco Giuli: “il rientro in città dei reperti possibili è stato da subito uno dei punti programmatici di questo assessorato alla cultura e turismo…Nelle prossime settimane alcuni reperti della necropoli preromana delle Acciaierie, provenienti sempre dal capoluogo umbro, troveranno anch’essi posto presso il museo archeologico di Terni. Il lavoro per cercare di dare un senso nuovo alla nostra città continua”.