La notizia fu ufficializzata: don Attilio Bellachioma era morto il giorno prima a Villa Massari, la clinica psichiatrica di Perugia, in cui era finito con tutta probabilità anche a causa delle troppe emozioni e lo stress che aveva subito dalla fine di settembre del 1951. Per la precisione dal 23 settembre: quel giorno un cavallo francese, Niagara, vinse il Gran Premio ippico a Merano, il Gran Premio Lotteria. Al cavallo era abbinato il biglietto L60297 venduto a Perugia cui andavano i quaranta milioni del primo premio.
Nel 1951 un quaderno costava 12 lire, un quotidiano 25, una Topolino Fiat 730mila e, tanto per rendersi conto fino in fondo, proprio in quel periodo, c’era stata una colletta per raccogliere le settantamila lire necessarie per un’operazione che avrebbe dato la vista a una bimba di tre anni.
Da sacerdote fu nella guerra ’15-’18, poi parroco nel Perugino.
Quel biglietto della lotteria – raccontò in una delle interviste – l’aveva acquistato tre giorni prima della corsa ippica: al banco lotto di via Alessi avevano insistito tanto e lui compèrò “la cartella” che poi ripose nel portafogli. “Il Signore – disse a quelli che lo intervistarono – ha voluto darmi un segno. Ha realizzato il mio sogno che è quello di soccorrere gli infermi”. Tutto in beneficienza, insomma. Ma la demenza senile – accelerata proprio dallo stress susseguente alla vincita – accelerò il suo decorso.
“Beneficienza un corno” pensarono i parenti vicini e lontani spuntati come funghi. Non appena don Attilio fu spirato si presentarono in ventiquattro a reclamare l’eredità. La faccenda si annunciava complicata. Perché il sacerdote non aveva discendenti diretti, ovviamente, e quindi andava stabilita una specie di graduatoria tra gli aventi diritto. C’era sempre una bella somma da spartirsi, anche se tredici dei quaranta milioni mancavano all’appello: don Attilio aveva già fatto alcune cospicue donazioni, ed aveva acquistato un paio di appartamenti a Firenze. Ma l’assalto si rivelò infruttuoso, perché un mese dopo fu ritrovato il testamento: tutti gli averi di don Bellachioma andavano al seminario sacerdotale di Perugia e nel caso l’eredità non venisse accettata, doeva essere impiegata per costruire un sanatorio per i sacerdoti. Così aveva stabilito don Attilio prima di finire a Villa Massari. E così fu. Parenti o non parenti.
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