Ast: riecco la “cassa” integrazione, ma il problema vero è un altro e più serio

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Massimiliano Burelli

Forse il problema sta tutto nel fatto che alla fine di settembre si chiude l’anno finanziario di ThyssenKrupp. Con l’Ast che continua a restare tra color che son sospesi. Ciò per dire che nella multinazionale di Essen continua ad essere un po’ il cugino di campagna che arriva ospite in città, a casa dei parenti i quali se lo tengono ma si sa com’è l’ospite quando passano i giorni.

Perché continui ad essere “accettata” l’Ast ha bisogno di presentarsi il più in forma possibile e appare ovvio che, dopo i 90 milioni di utile esibiti lo scorso anno, l’esercizio 1. Ottobre 2018 – 30 settembre 2019 non sarà di quel tipo. Le cause sono note: i dazi, la congiuntura internazionale, lo stallo economico italiano e tedesco i due paesi che i Europa sono i maggiori consumatori di acciaio inossidabile (core business dell’Ast), l’arrembaggio indonesiano e più in generale dei Paesi dell’estremo oriente.

Come metterci una pezza, allora? Innalzando al massimo possibile produzione e ricavi prima che, alla fine di settembre, cali la sbarra sui bilancil. E quindi anticipo degli ordinativi che, in ogni caso, restano su livelli inferiori rispetto all’anno scorso, saturazione degli impianti per arrivare alla piena produzione.

Così facendo però si sgonfia il portafoglio per il prossimo annofinanziario che comincia il 1. ottobre prossimo. Come andrà? Buttando le mani avanti intanto si decide di risparmiare sul costo del lavoro. Ergo: cassa integrazione.

L’amministratore delegato di Ast, Massimiliano Burelli, lo ha comunicato ai sindacati. L’Ast farà ricorso alla “cassa”, ma non esistono specificazioni di sorta, nessun particolare è stato aggiunto. Per quanti dipendenti? E per quanto tempo? Per quale specifica motivazione sostanziale che non sia un generico riferimento al calo degli ordini susseguente alle difficoltà del mercato mondiale e alla competitività dei concorrenti? Poi una nota informa che la “cassa” interesserà 1.200 dipendenti: la metà dell’organico

Per il sindacato – c’è una nota della Cgil – ,e non solo, diventa ogni volta maggiormente necessario sgombrare il campo dai dubbi. Per l’ennesima volta si chiede a Tk che cosa vuol farsene di questa sua “officina” che produce acciaio inox e col resto delle produzioni ad essi collegate (tubi, fucinati e via dicendo…). Una battaglia che il sindacato sembra dover combattere da solo. Almeno nella richiesta di chiarezza un supporto dalle istituzioni locali potrebbe starci. Ma chi ha competenze e coraggio per queste faccende?