la presenza di una via XX Settembre, ma quella è la data della breccia di Porta Pia che segna, il definitivo tramonto dello stato pontificio, avvenuto però – come noto – dieci anni dopo.
Quello stesso giorno, il 18 settembre 1860, si combatté la battaglia di Castelfidardo, quella che risultò decisiva nell’operazione militare di avanzata delle truppe piemontesi nelle Marche e nell’Umbria. Mentre il quarto corpo d’armata, comandato dal generale Cialdini, aveva il compito di operare nelle Marche e combatté a Castelfidardo, il quinto – al cui comando era il generale Della Rocca, ma nei fatti era guidato dal generale Fanti – s’impegnò nella liberazione dell’Umbria. Dopo un breve combattimento i piemontesi avevano issato, all’alba del 18 settembre, la bandiera italiana sulla torre della rocca di Spoleto e s’apprestarono a marciare verso Terni. Qui, saputo della caduta di Spoleto, fu tutto una agitarsi, un salire dell’entusiasmo man mano che da oltre la Somma arrivavano notizie. Finché qualcuno riferì che i piemontesi s’erano già messi in marcia. Si trattava di un’avanguardia, composta da una brigata di bersaglieri, comandata dal generale Filippo Brignone. A quel punto la popolazione ternana di riversò nelle strade e coloro che più si sentivano coinvolti nell’aspirazone del cambio di regime, si radunarono a Porta Spoletina, da dove una vera e propria colonna composta di cittadini mosse per andare incontro ai soldati di Vittorio Emanuele.
Lì a San Carlo, allora borgo isolato dal resto della città, nel punto in cui la strada Flaminia usciva dalle gole delle montagne e si apriva sulla conca ternana, avvenne l’incontro festoso. E lì è stato posato il cippo che ricorda quella giornata: “Soldati dell’Italia libera dai campi di battaglia qui giunti con il loro valore – recita la scritta che vi è incisa– il 18 settembre 1860, realizzarono le speranze dei fratelli umbri, forti nel sacrificio vigili nell’attesa, riunendo Terni alla patria comune”. Il cippo fu inaugurato il 18 settembre 1960, al cadere del centenario.
I bersaglieri, accompagnati dalla popolazione che diventava sempre più numerosa fecero il loro ingresso trionfale nel centro cittadino. “Ma chi avesse ben guardato, non avrebbe mancato di notare – ha scritto Italo Ciaurro nel suo “L’Umbria e il Risorgimento” – che i portoni di alcuni palazzi erano rimasti chiusi come se coloro che li abitavano fossero assenti e contrari al giubilo cittadino: e là, nella zona del Duomo e del Vescovado era un silenzio di tomba, di sepolcro”.
Nel momento in cui la città, almeno nella sua gran parte, gioiva, il governatore pontificio se ne andava. Per Terni cominciava un’altra storia.
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Per saperne di più:
Italo Ciaurro, “L’umbria e il risorgimento”, Cappelli, Milano 1963
vedi anche: “1860, a Terni…”