Maffeo Barberini fu pontefice dal 1623 al 1644: era il periodo della guerra dei Trent’anni, del processo a Galileo Galilei ed ai giansenisti. Durante il papato di Urbano VIII si completò la costruzione della basilica di San Pietro che egli stesso inaugurò, e fu sempre lui, il papa Barberini, a dare un forte impulso al diffondersi dell’arte barocca a Roma. Alla sua iniziativa vanno ascritte opere oggi molto popolari e conosciute come la fontana di Piazza di Spagna (la Barcaccia) o quella del Tritone, oltre al baldacchino dell’altare di San Pietro, a fianco di opere di maggiori dimensioni e di altra importanza.
Ad imperitura memoria, il cardinal Poli volle che a segnare la realizzazione di quell’opera ci fosse una lapide proprio lì, nel punto in cui la strada incrociava il tracciato della consolare Flaminia per poi inerpicarsi verso Montefranco, scendere sulla Valnerina, seguirla fino a Sant’Anatolia di Narco e poi risalire su, sui monti, verso Monteleone.
Intorno agli anni Settanta del secolo scorso, l’arma di Urbano VIII era in gravi condizioni. E nascosta alla vista. La Flaminia,infatti, col passare dei secoli, aveva subito interventi per motivi di sicurezza necessari nel caso di un’arteria di grande comunicazione. L’arma era venuta così a trovarsi lontano dalla carreggiata, e leggermente più bassa rispetto al piano stradale, dietro un guard rail.
La sezione ternana di Italia Nostra, allora guidata da Emilio Sebastiani, annoverava tra i soci più attivi uno studioso sensibile come Gino Papuli, e consiglieri d’esperienza e di livello. Quell’associazione, senza padrini politici, più che di galline s’interessò di importanti tematiche ambientali e della conservazione di beni culturali in pericolo. Così come l’Arma di Urbano VIII, testimonianza di un periodo storico importante per la Valnerina, che andava proprio per questo recuperata e restaurata. Fu una battaglia lunga, anche perché fu difficile reperire i fondi necessari e sensibilizzare gli amministratori pubblici. Ma alla fine Italia Nostra ce la fece.
Ma la sorte volle che, pochi mesi dopo il restauro, un Tir finisse fuori strada proprio in quella curva, scavalcando il guard rail e frantumando ogni cosa. Dell’Arma di Urbano VIII resta solo una colonnetta di mattoni, aggredita dalla vegetazione. Ultima collocazione conosciuta dei rottami della lapide resta una non meglio precisata caserma dei Carabinieri, forse quella di Terni . In attesa di un nuovo recupero e di una nuova collocazione. E stavolta – magari – lontano dalla strada e da curve pericolose.
Sennò l’imperitura memoria va a farsi benedire!
Sul cardinale Poli e Usigni vedi articolo correlato http://umbriasud.altervista.org/?p=741