La “Terni” industria d’avanguardia: garantisce il Re

Morale della favola: ad andarci di mezzo fu il vescovo. Lo chiamarono in Vaticano per giustificarsi, e per sopportare una dura reprimenda. Ma come, il vescovo di Terni va ad ossequiare il re d’Italia? Colui, cioè, che meno di vent’anni prima (si era nel 1887) aveva scalzato il papa dal potere temporale ed aveva sottratto alle curie i beni ecclesiastici? Mai avrebbe dovuto! Non sapevano, in Vaticano, che monsignor Antonio Belli era andato a chiedere al re di stanziare fondi per la costruzione di una scuola e di una chiesa proprio lì, alle acciaierie.
Quel che si dissero nella stanze dei palazzi vaticani i “capi” della curia romana ed il vescovo Antonio Belli, non s’è mai saputo. Ma certo che!… Il fatto era considerato tanto grave che l’Osservatore Romano fu costretto a prendere le distanze: «È andato a salutare il re d’Italia, ma è stata un’iniziativa del tutto personale», scrisse il giornale della Santa Sede. Oltre al rimbrotto del Vaticano, il vescovo si guadagnò però la stima dei ternani, oltre alla benevolenza del re il quale avrebbe voluto dargli addirittura un’onorificienza, che – naturalmente – fu rifiutata. Dopo la convocazione in Vaticano, comunque, Antonio Belli restò al suo posto per altri dieci anni, fino al 1897, quando lasciò per raggiunti limiti di età. Era infatti nato a Città di Castello nel 1811, e lì era stato vicario generale, fino alla nomina a Vescovo di Terni, nel 1871. Morì nel 1904.
Nel 1887 si trovò invischiato, del tutto inconsapevolmente, in una di quelle guerre mediatiche che si scatenano, a volte, per frenare iniziative nuove. A prendersela con la Terni, appena nata, fu un quotidiano economico milanese “Il Commercio”, “Organo degli interessi mercantili d’Italia”, il quale “cavalcò”, a scopo denigratorio la notizia dello scoppio delle condotte dell’acquedotto di Napoli, avvenuto nel giugno di quell’anno: la città rimase senz’acqua, i danni furono ingenti. Il Commercio e altri quotidiani del Nord (la Gazzetta Piemontese, innanzitutto) appuntarono gli strali sulla Terni, che quelle condotte – dissero – aveva costruito e posto in opera. Non accadde granché, ed allora l’attacco divenne più pesante.si poneva in forse che i proprietari della Terni fossero davvero imprenditori italiani, perché i “grandi papaveri” – si disse – erano stranieri; le rotaie prodotte costavano più di quelle che si potevano acquistare all’estero; le corazze per le navi avevano fallito alla prova compiuta a La Spezia; macchine utensili per le industrie italiane “ancora non si sono viste”, mentre riguardo alle condotte si faceva ironico riferimento a quelle dell’acquedotto di Napoli.
“Il Commercio”, ed altri giornali che ripresero la notizia, avevano lo scopo di scongiurare – sostenevano – manovre in corso tendenti a far sì che la fabbrica ternana, in difficoltà finanziarie, fosse assorbita dallo Stato. Una scelta che era fermamente respinta, in ossequio al concetto della “privata, libera industria”, unico metodo valido – si spiegava – per assicurare lo sviluppo di una società che la burocrazia statale avrebbe invece impastoiato e resa inefficiente.
Vincenzo Stefano Breda, numero uno della Terni, era subito corso ai ripari, ed aveva mosso tutte le pedine. La replica alle accuse fu una visita lampo alle acciaierie da parte del re Umberto I. Arrivò a Terni col treno, di buonora, alle 6,20 del mattino, insieme al primo ministro, Francesco Crispi. Una levataccia, ma non solo per Umberto il quale trovò ad attenderlo tutte le autorità e «una numerosa
popolazione». Andò in Municipio e quindi alla Terni, dove «visitò minutamente – sottolineava l’agenzia giornalistica Stefani – la fonderia dei tubi e quindi l’acciaieria» complimentandosi con Breda. Rinfresco nella palazzina degli altiforni e, qui, a fine pasto arrivarono i canonici che facevano strada al vescovo di Terni il quale «ossequiò il re». Giusto pochi minuti, poi Umberto visitò la Fabbrica d’armi ed, immancabilmente, la cascata delle Marmore. Pochi giorni dopo conferì a Breda l’alta onorificenza del “Gran cordone della Corona d’Italia”. Proprio mentre il vescovo Belli varcava, un po’ teso, le porte del Vaticano.
Non senza soddisfazione Breda poté così, rispondere all’attacco mediatico di Ferragosto, con una lettera di smentita al giornale Il Commercio: nessuno aveva mai pensato di cedere le acciaierie allo Stato. E soprattutto: i tubi scoppiati a Napoli erano stati prodotti dalla società Acqua Marcia. Non dalla Terni.

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