Spoleto, sindaco denunciato per lo sciopero contro la Nato

Spoleto, 18 gennaio 1951

A Spoleto  lo sciopero era cominciato a mezzogiorno. La manifestazione era programmato che si tenesse nella piazzetta antistante il Teatro Nuovo. Era stata autorizzata, ma all’ultimo momento la questura di Perugia ci ripensò e decise al contrario, inviando un rinforzo delle forze dell’ordine al fine di far rispettare il divieto. Alle proteste della folla agenti e carabinieri intervennero ed in breve si giunse allo scontro fisico. Le forze dell’ordine usarono i manganelli dopo aver sparato alcuni colpi in aria a scopo intimidatorio. E proprio colpi di manganello ferirono una bambina di sette anni e una donna di trenta.

Spooleto, il sindaco Monterosso
Mario Monterosso, sindaco di Spoleto nel 1951

Manifestazioni di protesta, quel giorno di gennaio del 1951, ci furono in varie parti d’Italia: Dwight Eisenhower, allora comandante delle forze armate Nato, in visita in Europa, arrivava a Roma. Il governo italiano si aspettava proteste di piazza, con possibili scontri. Così com’era accaduto quasi due anni prima, al tempo in cui l’Italia decise la propria adesione all’Allenza atlantica. Allora c’erano stati disordini gravi e scontri cruenti soprattutto a Terni, dove s’era registrata l’uccisione di Luigi Trastulli, un operaio dell’acciaieria poco più che ventenne.

In “ossequio” ad Eisenhower, la Camera del Lavoro e i partiti della sinistra avevano proclamato lo sciopero generale di protesta contro “la Nato guerrafondaia”. Il governo ci aveva azzeccato: gli scontri ci furono da diverse parti. Rimasero uccisi un operaio a Comacchio ed un bracciante a Piana degli Albanesi, vicino Palermo. In Umbria i fatti più gravi furono quelli di Spoleto. Il comizio, dopo il divieto della manifestazione in piazza, ci fu comunque, presso la sede della Camera del Lavoro. Lo sciopero generale pure, ma a Spoleto durò un giorno in più. Era la protesta contro “il selvaggio comportamento della polizia”.

E non finì lì. Una settimana dopo, infatti, il prefetto di Perugia sospese il sindaco di Spoleto, Mario Monterosso, del Partito Comunista, dalle sue funzioni di ufficiale di Governo. Il motivo del provvedimento era – testualmente – il “non aver impedito che nella sede municipale fosse tenuta una riunione di dipendenti municipali per decidere sullo sciopero che era stato indetto il 18 gennaio per l’arrivo a Roma del generale Eisenhower”.

Poco danno? Il fatto è che il provvedimento non teneva conto di quanto era accaduto in piazza e così il giorno dopo fece seguito una ulteriore disposizione con cui il Prefetto sospendeva da ogni funzione amministrativa il sindaco Monterosso e lo denunciava all’autorità giudiziaria, insieme a tutta la giunta comunale, e cioè gli assessori Adelmo Proietti, Edmondo Fagotti Fiorentini, Filippo De Filippo, Guglielmo Reali.

Vale a dire che il Comune di Spoleto si ritrovò in pratica commissariato. Caso diverso quello del vicesindaco di Città di Castello, Pietro Gaggi, che fu anch’egli sospeso quello stesso giorno dalle sue funzioni con ordinanza del prefetto di Perugia. Nel caso di Gaggi non si trattava di una questione squisitamente politica: la sospensione avveniva in quanto Gaggi era oggetto di procedimento penale per oltraggio a pubblico ufficiale. Epidosio comunque verificatosi nella stessa occasione dello sciopero contro la visita di Eisenhower.

Il processo, al sindaco e alla giunta comunale di Spoleto,si fece ad aprile, e per quasi tre mesi l’attività amministrativa restò praticamente ferma.

Manco a dirlo l’aula del tribunale, la mattina del 5 aprile 1951, era piena zeppa. Il numero degli imputati era nel frattempo aumentato, perché ad essi s’era aggiunto il segretario generale del Comune, dottor Corrà. L’accusa era per tutti la stessa: falso in atto pubblico e interesse privato in atti di fiducia. Capi d’imputazione che chissà come si allacciavano a quei disordini avvenuti in concomitanza della visita italiana del comandant della Nato.

Il pubblico ministero chiese per sindaco e giunta la condanna ad un anno di reclusione per il reato di falso e l’assoluzione dall’interesse privato in atti di fiducia. Un anno e tre mesi invece la condanna chiesta per il segretario generale Corrà per entrambi i reati. Lo stesso pubblico ministero chiese per tutti gli imputati il condono. E la faccenda si chiuse lì.

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