Quei nomi per la verità non si sono mai conosciuti. Comunque ecco il loro progetto.
Si comincia dal palazzo comunale, l’ex palazzo del governatore pontificio oggi sede della biblioteca in piazza della Repubblica. Il palazzo avrebbe dovuto assumere la forma di un parallelepipedo, ben squadrato e con i lati in parallelo col palazzo delle poste. Un bel blocco, con una torre campanaria (quella originaria era stata abbattuta dalle bombe), che sarebbe però sorta sul lato sinistro, dalla parte che da verso corso del Popolo. Niente campane, ma al loro posto quattro più moderni altoparlanti a tromba. Un edificio che richiamava forme architettoniche proprie del regime anteguerra, i cui lati avrebbero dovuto misurare al massimo 60 metri per 38, perché sarebbero bastati ad ospitare – di diceva – tutti gli uffici necessari. Si manteneva la struttura viaria del cardo e decumano, con le due direttrici che univano il ricostruito Ponte Romano e la stazione ferroviaria, due delle porte cittadine insieme a porta Sant’Angelo e porta Garibaldi. Solo che l’asse viario, che al tempo della città romana era costituita dalla Flaminia che attraversava il centro cittadino, risultava un po’ spostato verso Est, visto che sarebbe stato costituito da corso del Popolo e che avrebbe trovato continuazione in piazza Solferino. La quale non sarebbe più esistita come piazza, ma sarebbe diventata una strada su cui far scorrere il traffico. Le auto, grazie alla parziale demolizione di palazzo Morganti e della ex prefettura (lì dove oggi trova ospitalità l’ufficio centrale delle poste) si sarebbero quindi immesse in corso Vecchio. Demolizione anche per costruzioni all’inizio di via Cavour per dar risalto, attraverso il suo isolamento, a Palazzo Magroni, ma anche per consegnare alla vista e valorizzare, il portone di Palazzo Ciucci in via Tre Colonne, e il balconcino di via Cavour.
C’era poi la questione di Palazzo Manni, “il più brutto palazzo del centro cittadino” sui cui ovviamente andavano messe le mani. Anch’esso sarebbe dovuto diventare un parallelepipedo, con diversi piani in più rispetto all’attuale, destinato ad albergo o a sede di una banca. Per finire c’era Palazzo Montani: si proponeva la valorizzazione del cortile interno che sarebbe diventato un giardinetto pubblico da cui osservare gli affreschi delle volte del porticato al primo piano e che sarebbe stato una “comoda e utile parentesi nel punto della iù intensa e nervosa attività del traffico cittadino”.
Quel piano o progetto non fu mai preso in considerazione e, chissà, forse una volta tanto ai ternani è andata bene.